domenica 17 novembre 2013

Contro il biocidio, la camorra, la politica e l'imprenditoria connivente, i roghi e i rifiuti tossici. Migliaia di persone protestano sotto la pioggia.


Napoli, 16 novembre 2013.

post di 16Nov_Tutti in piazza a Napoli_Stop Biocidio.

Siamo un #fiumeinpiena, lo siamo stati e lo saremo.

  • Orta di Atella - Caivano - 4 ottobre 2013
  • Macerata Campania - 26 ottobre 2013
  • Caserta - 9 novembre 2013 
  • Napoli - 16 novembre 2013

Queste sono solo alcune delle manifestazioni degli ultimi mesi, quelle a cui ho partecipato io e che posso in prima persona raccontare.

Partendo dai paesini, dalla provincia dimenticata, si è arrivati prima alla città di Caserta e poi al capoluogo, a Napoli. Caserta mi ha davvero sorpreso: eravamo tanti, in un percorso breve, ma posso dire in vita mia di non aver mai visto tanta gente protestare nel piccolo centro della città.

E' un segnale forte. E' segno che solo ripartendo dai nostri territori si può pensare di cambiare qualcosa. Verso un obiettivo comune e tramite una progettualità variegata, unendo tante forze diverse.

Quello che vedo è un insieme di tante voci differenti unite verso uno scopo, al di là di quali siano stati gli ideali e pensieri politici, e questa cosa non mi spaventa ma mi rinfranca. Non è qualunquismo, non è rinunciare a se stessi, è consapevolezza che le diversità di vedute non siano necessariamente un problema quando la causa che ti porta a protestare è così grave e condivisa.

In questo contesto le associazioni sono fondamentali per denunciare e proporre partendo dai propri territori. La manifestazione di ieri ha visto migliaia di persone sfilare, ma non è solo questo.
Sono arrivate delle proposte, dei punti programmatici, non idee soltanto ma fatti concreti da poter attuare. Ora le Istituzioni devono ascoltare, capire, e provare a rispondere al nostro grido di aiuto.

Dire "se ne devono andare" non basta, forse non serve. Devono cambiare, devono ripulirsi, bisogna capire quali siano le falle di questo sistema e ripararle. Bisogna fare giustizia, è necessario che chi ha sbagliato paghi. E non è vendetta, è necessità di fermare chi può ancora inquinare, devastare, mortificare un territorio uccidendo le persone che ci vivono senza remore alcuna.

E noi dovremmo essere sempre lì a cercare di capire, a informarci, a commentare, a denunciare, a controllare. Questo il mio modesto auspicio.

Qui tutte le proposte di cui si è parlato ieri alla fine del corteo a Piazza Pebliscito:

PIATTAFORMA #FIUMEINPIENA 16NOV.


Luisa Ferrara



domenica 27 ottobre 2013

L'indifferenza che uccide.

Quando sono i piccoli territori a svegliarsi, per me almeno, è doppia soddisfazione.

I piccoli paesi spesso sono lontani dal clamore mediatico della grande città, vivono la loro quotidianità silenziosamente, disturbati ogni tanto da qualche evento di cronaca nera.

E' più facile vedere migliaia di persone in piazza in una città come Napoli che qualche decina tra le strade di un paese di 10.000 abitanti.

E quando vedi centinaia di persone percorrere quelle strade a testa alta, con rabbia e indignazione, cominci quasi a sentirti, per una volta, fiero della tua provenienza.

E' vero, ci sono voluti anni, non era facile forse per tutti capire la complessità di meccanismi che nemmeno grandi giornalisti hanno capito, o peggio, provato a capire.

I più informati forse sapevano già e si indignano e provavano a parlarne, a raccontare. Ma erano pochi, troppo pochi, e soli, molto soli. Siamo sempre stati soli. Questo è il problema.

Quando ora i grandi media nazionali ci domandano prima dov'eravamo, credendo di fare una domanda scomoda e magari "regalarci", come se non bastasse, un po' di senso di colpa, provo molta rabbia.

Provo molta rabbia perché c'è una parte della popolazione che ha sempre denunciato, una parte dei nostri giornalisti che ha sempre raccontato. Ma eravamo soli, erano tutti soli, snobbati, se non, isolati, che è ancora peggio.

La domanda corretta è dov'erano le Istituzioni, dov'erano i rappresentanti locali, dov'erano le forze dell'ordine addette al controllo, dov'erano i Sindaci tanto bravi a bussarti nei mesi precedenti le elezioni e poi a volatilizzarsi a ogni problema del proprio Comune dietro un "Non ci compete".

Dov'era la Provincia e dov'era la Regione.

Possono i cittadini sostituirsi ai loro rappresentanti? No, non possono. Ma possono sceglierli, possono ribellarsi a un sistema che non accettano più. Possono rifiutarsi di sopportare ancora decenni di convivenza e connivenza tra politica corrotta e camorra, tra imprenditoria insana e malaffare.

Possiamo cominciare ad alzare la voce, più siamo meglio è. Perché quando il numero aumenta, la protesta fa paura. E non importa se sia un prete a guidarla o a farne da portavoce. Quello che conta è che alla base ci sia finalmente gente comune pronta a mettersi in gioco. Persone che si informano, che nel loro piccolo fanno tutto quello che possono. Persone consapevoli, persone con il cervello acceso, persone pronte a cambiare le cose, che non hanno più paura. Ma c'è bisogno anche di competenze, di persone che si riuniscano i gruppi di lavoro, professionisti che mettano a disposizione le loro conoscenze, come medici, avvocati, geologi, biologi, agronomi e tanti altri.

Servono ancora denunce, ricerche, dati e percentuali, per essere credibili e per essere ascoltati. Se lo Stato non ci ascolta ci dobbiamo far ascoltare mostrandoci più forti, più testardi, più agguerriti. Non ci facciamo fermare, non dividiamoci. Errori ne sono stati fatti e se ne faranno, ma non è mollando o con l'indifferenza che le cose si risolveranno.

Antonio Gramsci scriveva: "L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. (...) L’indifferenza è il peso morto della storia. (...) Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?"

Domandiamocelo e continuiamo ad alzare la testa.





QUI altre foto della marcia.


Luisa Ferrara

sabato 5 ottobre 2013

Uno, tutti, migliaia.

Eravamo migliaia e non centinaia, questo sicuro.

In marcia silenziosamente, solo i cartelli a parlare. Ogni tanto qualche applauso o qualche coro: "Vergogna!".

Bambini, anziani, mamme, papà, ragazzi... c'eravamo proprio tutti. Forse mai abbastanza.

Che sia quella di oggi, assieme alle manifestazioni e alle iniziative degli ultimi giorni, il punto di partenza per una presa di coscienza collettiva.

Che l'aggregazione ritorni a essere l'elemento alla base di ogni lotta.

Che non si abbassino i riflettori, che ci sia un cambio di mentalità forte, che l'unità mostrata in questi giorni rimanga nel popolo campano a lungo, per sempre.

Non bisogna mai smettere di fare domande, di volere spiegazioni, di controllare, di proporre, di denunciare.

Tocca farlo ad ognuno di noi, ogni giorno.

L'individualismo ha perso, e noi ne siamo la dimostrazione. Dobbiamo esserne la dimostrazione.










Clicca QUI per vedere altre foto della marcia.

Luisa Ferrara


domenica 29 settembre 2013

Al punto di non ritorno.



Sono giorni tristi e di grande preoccupazione per ogni cittadino campano onesto. Non che non si sapesse in passato dell'inquinamento cui la nostra terra era stato sottoposto e obbligato, ma ora, in maniera così lampante, tutto esce fuori, i pezzi del puzzle cominciano a ricomporsi.

I pentiti parlano, magari perché stanno candendo man mano le protezioni politiche che li facevano sentire sicuri (?), e cominciano a svelare addirittura i luoghi dove sono sotterrati i fusti di rifiuti industriali illeciti. Caivano, Casal di Principe, Santa Maria Capua Vetere sono sono alcune delle località interessate, uscite fuori dalle ultime dichiarazioni.

E la paura sale, e lo sdegno si trasforma in ansia. E riprendi a contare i morti di cui hai sentito parlare, quelli della tua famiglia, pensi a chi ce l'ha fatta dopo mesi o anni di lotte e rivivi le paure che ti hanno accompagnato e ti accompagneranno tutta la vita, finché sarai qui, ma anche quando te ne sarai andata.

Perché anche se un giorno te ne andrai, queste sono comunque le tue radici, questa è la tua terra, e saperla avvelenata e uccisa fa male, come se perdessi un pezzo d'infanzia, di vita, di speranza.

E quindi non fai altro che leggere, cercare di capire, e leggere e chiedere, e indignarti, in un circolo infinito e senza punto di ritorno.

E ti chiedi perché non ci sia ancora un Registro Tumori dopo anni di lotte di medici e gente comune.

Ti chiedi come sia possibile un vuoto istituzionale così fragoroso, indecente, ridicolo, vergognoso.

Ti chiedi cosa possiamo fare davvero, tutti noi comuni mortali, nel nostro piccolo, per cambiare le cose, per chiedere aiuto, per il rispetto della vita umana, della salute, dell'ambiente in cui viviamo.

Ci hanno persino fatto sentire in colpa, dicendoci che i tumori ci vengono perché fumiamo, beviamo alcool e mangiamo cose grasse che ci fanno diventare obesi. Sì, hanno fatto persino questo.

Non è così, e lo sanno bene. E sanno anche di più, sanno tante, troppe cose.

Ma nessuno ha pagato ancora finora e chissà se pagherà. Chi? I politici coinvolti, collusi, conniventi. Gli "imprenditori" che hanno fatto accordi con i clan, e non solo quelli del Nord. I contadini che hanno concesso i loro terreni in cambio di soldi per nascondere i veleni. E tutti gli altri, tutti quelli che hanno mangiato al banchetto del far soldi, del far finta di nulla, dell'indifferenza, della bella faccia a cattivo gioco.

E sono tanti. E avessero almeno la decenza di tacere. E invece no.


Di seguito solo alcuni degli articoli che ripercorrono le vicende.

http://paralleloquarantuno.it/?p=7320

http://www.lettera43.it/cronaca/campania-lo-scandalo-del-registro-tumori-inesistente_43675107264.htm

http://www.fanpage.it/47-comuni-tossici-casertano-ministero/#ixzz2gDomhmUz

http://www.fanpage.it/rifiuti-in-campania-e-terra-dei-fuochi-il-piu-grande-avvelenamento-di-massa-in-un-paese-occidentale/

http://interno18.it/attualita/36823/terra-dei-fuochi-venga-presidente-venga-visitare-quell-italia-che-non-conosce

http://www.ildesk.it/newslong.php?id=1988

http://www.ilmattino.it/CASERTA/rifiuti-tossici-casal-di-principe-pentito-segnala/notizie/327151.shtml

http://www.youtube.com/user/beacon986/search?query=Current+TV+Gomorra


Luisa Ferrara


martedì 9 luglio 2013

Cubeddu, le femministe e la violenza sulle donne.

esemplare umano di sesso femminile
con addosso stoffa per coprire le parti intime 


Non è facile oggi fare battaglie femministe in difesa delle donne senza rischiare, talvolta, di rasentare un estremismo illogico e di parte. Preferisco quindi parlare di battaglie per le donne, per tenere lontano da me ciò che considero estremo e dannoso ai fini di un obiettivo. Nella lotta di genere ci sono cose che condivido e cose che sento distanti, e non è la prima volta rispetto a una teoria o a un'ideologia, che provo questa sensazione.

Avere degli assunti certi può aiutare a semplificare la realtà e a trarre facilmente conclusioni, ma non aiuta la riflessione, il confronto e la comprensione delle problematiche che attanagliano società complesse come le nostre. Questo è il motivo per cui, in generale, non prendo parte a collettivi, partiti politici, associazioni politico-culturali et similia, ma sembra sempre che osservi da fuori, cercando di farmi un'idea sulle cose che sia mia. Non riesco, ahimè, a star stretta in un "pensiero unico" pure quando questo si definisce alternativo e agli antipodi del mainstream, ovvero divergente rispetto al cosiddetto pensiero dominante.

Tornando al discorso "femminista" sono consapevole di come questo movimento abbia portato avanti battaglie fondamentali e vitali per le donne e come continui a farlo, oggi più di prima, attraverso una rete internazionale e all'utilizzo di nuovi media come i social network. Le battaglie tramite hashtag e tag attirano sempre più spesso l'attenzione anche di altri media e in breve tempo alcune tematiche diventano notizie di primo piano. Come il caso della giovane Amina, o del gruppo Femen. Ancora più lampante è il caso della diffusione del termine femminicidio per indicare l'omicidio di genere e ultimamente la protesta contro un articolo discutibile di Marco Cubeddu pubblicato dal Secolo XIX. Ho detto già la mia sul femminicidio in un articolo pubblicato su Agoravox, e ho aspettato l'evoluzione del caso per parlare del "provocatorio" articolo di Cubeddu, cui sono seguite reazioni di vario genere, per farmi un'idea sulla questione che non fosse dettata dall'impulsività.

Sono arrivata alla conclusione che Cubeddu sia stato semplicemente molto superficiale semplificando all'osso un problema storico e problematico come quello della violenza sessuale sulle donne e in particolare sulle giovani donne. Lui fa riferimento al vestiario succinto di ragazzine di 11-12 anni in piena estate, sollevando ovviamente una grossa polemica. Si parla di ragazzine delle scuole medie che giocano a gavettoni in strada, noncuranti molto probabilmente, di poter attirare sguardi indiscreti, e talvolta pericolosi, solo perché indossano comodi e corti pantaloncini (visto il caldo!). La domanda è proprio questa: tutte le ragazzine di 11-12 sono consapevoli, e fino a che punto, della  propria sessualità? Il loro intento è davvero provocatorio? Le mamme e i papà sono responsabili del loro vestiario che potrebbe apparire "non consono"? E fino a che punto è possibile limitare una ragazzina mettendola in guardia rispetto al pericolo di attirare malintenzionati scoprendosi per il caldo? Domande, domande, domande. Quelle che dovrebbe porsi Cubeddu, e come lui, tanti altri professionisti dell'informazione, dell'educazione, della psicologia.

Ho cercato di farmi altre domande, per provare ad andare, almeno un po', alla radice del problema. Come crescono le ragazzine di oggi? Quali sono gli esempi che seguono? Quanto in fretta crescono e in che modalità si approcciano al proprio corpo e alla propria sessualità? Che ruolo hanno le famiglie e la scuola, i media e la comunità? Che rapporto hanno con l'altro sesso?

Sono donna, ho quasi 28 anni e sono stata una ragazzina anche io. Il problema più grande che vedo, onestamente, non sono gli shorts (che anche io indossavo in piena estate girando in bici nel mio quartiere o giocando con la palla nella stradina sotto casa, come tutte le ragazzine della mia età). Il problema credo sia che molte delle ragazzine di oggi tendano a vestirsi da ragazze più grandi senza averne la maturità mentale. E' inquietante vedere ragazze di 14-15 anni vestite in modo più provocante e sexy di donne di 26-27 anni. E' preoccupante vedere loro bruciare le tappe, perdendo pezzi d'infanzia e di pre-adolescenza fondamentali per la crescita. Questo è un problema culturale, di educazione, che deve portarci a fare domande più ampie, sui valori e gli esempi che i giovani d'oggi hanno e percepiscono soprattutto attraverso i media che tanto li influenzano e li formano. E sul ruolo della famiglia, sempre più complesso e difficile, in bilico tra permissività e modello autoritario.

Ma mai, mai si deve pensare, che siano gli atteggiamenti femminili a provocare la violenza, che è sempre ingiustificata. Lo stupro è sempre esistito, in ogni epoca storica, religione e società, a prescindere dai costumi e dagli usi delle donne. I casi di cronaca, così come studi e sondaggi, non hanno mai evidenziato collegamenti tra lo stile di vita delle donne o i loro modo di abbigliarsi e le violenze subite. Chi stupra lo fa per ragioni che vanno al di là del puro istinto sessuale animale incontrollabile, ma perché malato, disturbato.
Ciò non toglie che le donne, con intelligenza e amor proprio, debbano sapersi difendere a monte, senza però vivere con la paura o limitando la propria libertà. Ma chi difende le donne? In realtà nessuno, non siamo davvero mai libere, e non lo saremo fino a quando le nostre città non saranno sicure, le strade abbastanza illuminate e le stazioni delle metro abbastanza vigilate, anche di notte.

E' troppo facile giudicare le donne e il loro stile di vita con un tristissimo "se lo è andata a cercare", è molto più difficile, anche per quelle società che si dicono evolute e progressiste, far sì davvero che le donne vivano in un mondo che non le faccia sentire in pericolo o in difetto. Queste sono le battaglie che vorrei che le mie amiche femministe o pseudo tali abbracciassero, oltre a fossilizzarsi sui problemi di "genere" e di "ruolo", pur altrettanto importanti e fondamentali.

Gli shorts non stuprano, e nemmeno le minigonne, e nemmeno la nostra sensualità dirompente, nemmeno la nostra femminilità. Nemmeno la nostra socievolezza e voglia di libertà, nemmeno sentirsi spiriti liberi e voler vivere una vita diversa da quello che il resto del mondo si aspetta. Stuprano l'indifferenza, la noncuranza, l'arretratezza mentale e sociale. Fatevene una ragione.

Trovi questo articolo anche su Agoravox Italia.

Luisa Ferrara



mercoledì 26 giugno 2013

Contenuti e social network.


















Nell'ultimo anno, oltre a essere diventata giornalista pubblicista (attualmente non praticante), mi sono occupata di contenuti per il web e di social media. La rubrica che ho tenuto fino ai primi mesi del 2013 per il Il caffè settimanale cartaceo casertano, mi è servita molto ad approfondire il mondo di Twitter, dove la sintesi è un dono e gli hashtag un mondo aperto verso l'infinito, a dispetto dei 140 caratteri.

Per il lavoro che faccio come social media editor free lance per agenzie di comunicazione, ho imparato a conoscere lo strumento Facebook nel suo lato più commerciale, da un verso, e democratico dall'altro. Produrre contenuti adeguati a specifici target per diversi clienti mette in moto un meccanismo molto dinamico di ricerca di stile, di conoscenza del web e delle tendenze che lo animano, anche in ambito visivo e non solo testuale. Chi fa testi per il social e per il web, infatti, non può prescindere dal visual, che ne è elemento fondamentale.

Dettagli a parte, un altro passo importante è stato scoprire il cosiddetto Social CRM, ovvero customer relationship management, più semplicemente gestione del servizio clienti tramite i social. Questo è forse il momento di maggiore vicinanza, di qui l'utilizzo sopra del termine "democratico", tra l'azienda e i suoi clienti. Il contato diretto apre ovviamente a ogni tipologia possibile di confronto e/o scontro, lamentele, critiche, complimenti, domande di ogni tipo, talvolta anche pretese improbabili.

Ci sono pagine con milioni di fan che gestiscono i propri clienti anche tramite Facebook, ma c'è ancora qualcuno che dice che il social non è il futuro del marketing. Qualche mese fa mi è capitato di chiacchierare con una signorina esperta di marketing molto decisa e determinata, la quale sosteneva, senza alcuna ombra di dubbio, che i social media godono un successo temporaneo, ma non sono il futuro. Chissà.

Forse non lo saranno, ma eviterei di fare pronostici rischiosi, soprattutto se si è ancora legati a un vecchio modo di fare comunicazione e si ha paura di perdere determinati "privilegi" o conoscenze sedimentate e non si è disposti ad aggiornarsi, continuamente, come è fondamentale fare tuttora per chi vuole lavorare nel mondo del web.

Al di là di come la si pensi personalmente, i social media sono chiaramente un realtà da tener presente, nel mondo dell'informazione come in quello pubblicitario, probabilmente in modo molto diverso, ma neanche troppo. Perché? Perché sono convinta che una buona comunicazione parta in ogni caso da una base comune: la trasparenza. L'utente odierno è attento, è ricettivo, è critico, non è più lo spettatore passivo della televisione. Cambiano gli strumenti, cambia il modo di usufruire di contenuti, e cambiano anche le persone e il loro modo di rapportarsi ai contenuti e ai mezzi.

Di questo bisogna tenere conto quando si danno notizie stupide o inutili, quando si trasforma un caso di femminicidio in gossip, quando si tenta di barare con i propri clienti sperando di farla franca.
Può sembra un accostamento azzardato, mi rendo conto, ma per chi approccia questi strumenti penso sia buona regola avere un codice deontologico come punto di partenza e proprio mantra quotidiano.

Li chiamo strumenti, perché credo che effettivamente i social network siano degli strumenti per ottenere uno scopo e non il nostro fine. Strumenti, contenitori, mezzi con cui fare contenuto, fare informazione, comunicare, condividere. Siamo sempre e solo noi a decidere in che modo utilizzarli e cosa farli diventare per noi, per i nostri lettori, per i nostri clienti. Questo è un grande vantaggio, una grande libertà, ma anche un grande pericolo. Ecco che, come in tutti i mestieri, l'improvvisazione è da temere, bisogna sempre diffidare degli esperti improvvisati. Di ogni mezzo vanno studiate le modalità, le opportunità e i limiti, in un processo che non ha mai fine, perché in particolare per i social network, stiamo parlando di strumenti in continua evoluzione che necessitano approfondimento, analisi, studio delle tendenze.

Luisa Ferrara



mercoledì 5 giugno 2013

Ricordando Don Peppe Diana

Da Il caffè del 1 giugno 2013.


Giovedì 23 maggio, preso l’Istituto Comprensivo ‘Giacomo Stroffolini’ di Casapulla, si è tenuto l’evento di premiazione del Concorso “Don Peppe Diana, un Prete, un uomo che amava la sua Terra” dedicato ai bambini delle quinte classi della scuola primaria e delle terze classi della scuola secondaria di primo grado. L’evento e il concorso sono stati ideati e organizzati dall’Associazione Politico Culturale Giancarlo Siani Casapulla, con il Patrocinio gratuito de Il Mattino.
I bambini hanno avuto la possibilità assieme ai docenti di partecipare a tre incontri dibattito sulla figura di Don Peppe Diana, il prete ucciso dalla camorra nella sua Chiesa a Casal di Principe, il 19 marzo del 1994, giorno del suo onomastico, perché si era apertamente opposto alla camorra con il suo impegno quotidiano e il suo famoso scritto: “Per amore del mio popolo non tacerò”.
Un parroco, un capo scout e uno scrittore, ma soprattutto un uomo coraggioso, ucciso perché non si è rassegnato all’omertà e al silenzio, ma ha voluto reagire per difendere il suo popolo e si è schierato apertamente contro il sistema criminale, dando un grosso e indimenticabile esempio.Oggi nelle scuole e nelle piazze ogni anno lo si ricorda, e grazie a questi eventi la sua morte non è stata vana. Un ciclo di tre incontri ha interessato e coinvolto attivamente i docenti e i ragazzi dell’Istituto Stroffolini di Casapulla, che con disegni, favole, racconti, cartelloni, fumetti e poesie, hanno voluto raccontare con la dolcezza e la speranza che solo i bambini e i ragazzini hanno, la figura emblematica di questo Padre.
Il concorso si è proposto l’intento di premiare i lavori migliori con degli assegni che i ragazzi potranno spendere in cancelleria e libri per la scuola. All’evento hanno partecipato, oltre alla stessa associazione Giancarlo Siani Casapulla con il Presidente Giuseppe Piantieri, la cantautrice per la pace Agnese Ginocchio, il magistrato Raffaello Magi che ricordiamo per il processo Spartacus, il responsabile della redazione casertana de Il Mattino Aldo Balestra, Carlo De Michele e Alfredo Rossi dell’Associazione Carta ’48 e Valerio Taglione del “Comitato Don Peppe Diana”.

La data del 23 maggio non è casuale: ricorre l’anniversario dell’omicidio del giudice Giovanni Falcone e dei ragazzi della sua scorta, che il magistrato Magi ricorda con fervore e commozione: “Raccontare per non dimenticare, per non far vincere chi ha premuto quel pulsante”. Dello stesso avviso è Aldo Balestra de Il mattino il quale, parlando del giovane giornalista Giancarlo Siani ucciso dalla camorra a 26 anni per aver raccontato scomode verità, ricorda che “solo attraverso la scuola e l’informazione è possibile davvero cambiare”.
Il primo premio per gli alunni delle quinte della scuola primaria è andato a Chiara Trinchese della 5°D per i suoi emozionanti versi in napoletano. Il primo posto per le terze della scuola secondaria di primo grado è andato a Salvatore Cappa Spina della 3°A per la sua dura e commovente “Lettera a un camorrista”. Premiati  con 3° premio i ragazzi della 5°A  e 5°C per i disegni e i cartelloni, secondo premio alla 5°A per una favola. E ancora, terzo premio a due alunni della 3°A per un filmato e alla 3°C per un cartellone/racconto. Infine, altro secondo premio alla 3°E per un fumetto animato. La felicità l’entusiasmo negli occhi dei giovani alunni al ricevimento delle pergamene, testimonia che le idee e la fantasia sono terreno fertile per l’attecchire di valori sani e giusti.
Stupisce e rincuora che ragazzi così giovani siano in grado di esprimere con tanta forza ed emozione il dolore della morte, la violenza, tutto il male rappresentato da un sistema criminale cieco e distruttivo e, al contempo, siano stati capaci di capire e raccontare l’importanza e l’immortalità della figura di Don Diana, che dona speranza, desiderio di pace e amore per la propria Terra. Forse è anche merito dei docenti e della Dirigente dello Stroffolini, Maria Carmina Giuliano, che hanno saputo coinvolgere e indirizzare i ragazzi in questo percorso. Segno inequivocabile del fatto che la scuola pubblica, anche se spesso osteggiata e lasciata sola, non si ferma mai nel suo fondamentale impegno di formare cittadini e non solo studenti.
Luisa Ferrara



mercoledì 24 aprile 2013

700 caffè nel cassetto (e una fune da equilibrista).

Cari amici, lettori, o semplici passanti,

il 16 aprile c'è stato l'anniversario della 700 esima copia de "Il caffè". Ebbene sì, 700 numeri, che per un settimanale indipendente non sono pochi. Sono contenta davvero di aver partecipato alla realizzazione di più di 70 di queste copie, negli ultimi due anni e più. E' stato anche bello conoscere parte dei collaboratori che con passione hanno scritto e commentato in questi anni, i problemi e gli eventi di Caserta, comuni limitrofi e non solo.

Sono ancora più contenta di aver potuto realizzare una rubrica che parlasse di tematiche che ho a cuore, dell'informazione e della sua evoluzione, nel tempo del giornalismo online e dei social network.
Parlare del web sulla carta stampata, riprendere le news, analizzare le tendenze, raccontare gli scontri, le possibilità. Una sfida.

Ma per questo numero così importante ho voluto parlare di altro, ho voluto parlare di quello che va oltre l'essere una neo-giornalista pubblicista, ma una "ragazza casertana" come tante/i.

Vi lascio la mia riflessione.



Stralci da un (ipotetico) romanzo precario.
E’ il settecentesimo numero de Il caffè, un giornale storico per Caserta, che io non conoscevo fino a pochi anni fa. Perché non vivere a Caserta ma poco più in là in provincia, già può far sentire un giovane o un adolescente un po’ “fuori dal coro”. Ora che sono due anni che collaboro con Il caffè e lavoro in zona, ho potuto in parte riscoprire il desiderio di tener salde le mie radici, di conoscere la mia città, la gente che la abita, le sue abitudini, la sua “movida”.
Da pendolare ogni giorno in trasferta verso Napoli, avevo smarrito un certo senso di appartenenza. Sognavo le grandi città, le metropoli, un lavoro da “radical chic”. Poi ho capito col tempo che professione e mestiere non sono mondi così lontani, che talvolta fare un lavoro nel migliore dei modi e con passione, comporta “sporcarsi la mani”. Ancora lotto con la voglia di restare qui e fare ciò che mi piace  e la consapevolezza che è davvero difficile. Manca ancora qualche anno ai 30, ma parte del coraggio, dell’ottimismo, della voglia di fare e dell’entusiasmo, che contraddistinguono una giovane che sa di avere ancora la vita davanti, è andata persa.
Sapere che la tua terra può offrirti poco, fa male. E’ un continuo annaspare, arrangiarsi, cercare lavori affini alle proprie competenze provando a non snaturarsi, a darsi un valore, oltre che mostrarlo agli altri.
Anni di studio non bastano, se non hai quella scaltrezza mentale, quella caparbietà, quella capacità di imparare-facendo, che può salvare il tuo futuro. Poi, anche per i più volenterosi, una parola si insinua bastarda nelle loro vite, dileguando ogni anelito di sogno, ogni passione, ogni desiderio. Diventa una condizione, smette di essere un “periodo di passaggio”, ma assume la forma di un’ombra che insistentemente ti segue ad ogni tuo passo. Ti senti spacciato, quando lì nell’angolo provi a liberartene.
E’ il precariato.
I tuoi amici che hanno un lavoro qui, o che ancora studiano, o che sono emigrati altrove, ti fanno notare la tua mancanza di coraggio nel non prendere un treno e partire, ti fanno notare che “Milano è un’altra cosa” che devi andare a Nord di Roma se vuoi un lavoro. Ma oggi, chi è che non lo sa? Chi non ne è, almeno in parte, cosciente?
E allora ti convinci che l’idea generale sia che il problema non va affrontato, ma ci vadano messe le toppe. E’ quello che siamo abituati a fare qui, a Sud dello stivale. Pian piano però, toppa su toppa, la maglia perde le sue sembianze, e diventa un obbrobrio. E anche il posto più dolce, più caro e pregno di ricordi, di vita vissuta e speranze disperse, ora non piace più a nessuno.
La paura è la spina nel fianco degli audaci, è come il “se” e il “ma” che si insinuano nei forti. Perché scappare non è sempre segno di coraggio, ma talvolta l’ultima soluzione, la sola possibilità. Restare, invece, può essere un grande atto di amore per la propria Terra, per una parte di sé, ma una dolorosa catena al piede.
Così sei frantumato, diviso, lacerato, frastornato.
Il giovane del sud, mi permetto di insinuare, così come il giovane casertano, vive i suoi migliori anni con questi pensieri e queste voluttà. In attesa di qualcosa che gli cambi la vita, che lo aiuti capire, che lo faccia sentire parte del Tutto. Non un banale elemento di un ingranaggio anonimo, ma un pezzo di un puzzle, un mattoncino della Lego in grado di creare qualcosa di buono, di concreto, di solido.
Costruire mondi in sintonia con se stessi o  immaginare futuri plausibili sentendosene già parte, sono banali vagheggiamenti di chi, a 16-17 anni, già sa che deve fare non la propria scelta vera e ponderata, rispetto a se stesso, ma quella utile. E se non fa quella utile, si porterà dietro il peso e la responsabilità di questo “errore” per tutta la vita. Un macigno che deteriora, che scalfisce, che s’insinua nella quotidianità e diventa parte di te.
Così quel leggero magone diventa nostalgica malinconia, il dubbio del “poteva essere”, “potevo fare”, “dovevo dire”, “dovevo andare”. E non campi più. O forse sì, campi pure. Ma non sei più la stessa persona, resti solo un ingranaggio di quel sistema che hai provato a cambiare, a fare tuo, a interpretare.
Ma non è stato così, e ora è tardi. Ora è il momento di agire.
Luisa Ferrara

mercoledì 13 marzo 2013

Femminicidio: quando non basta un reato

         Articolo pubblicato per Agoravox il 13 marzo 2013


E se l'introduzione del reato di femminicidio si riducesse a un mero slogan?
A cosa serve aggiungere l'aggravante di violenza di genere, se non si tutelano le donne prima che vengano uccise?
Proviamo a guardare questa delicata e complessa tematica da un altro punto di vista.
Negli ultimi mesi la parola femminicidio con relativo hashtag e relative discussioni online e sui social network, ha lasciato il solo web per approdare sui mass media. Carta stampata e tv ne hanno fatto immediatamente unoslogan, una parola in cui racchiudere anni di lotte, vittorie, paure.
Ma il termine femminicidio non nasce certo oggi, già studiosi e criminologi lo avevano utilizzato nel secolo scorso per indicare una violenza estrema da parte dell’uomo contro la donna in quanto donna, come risultato di pratiche misogine talvolta reiterate, giustificate, non perseguite.
L’escalation di omicidi e di violenze sulle donne nell’ultimo anno ha dato il via all’allarme mediatico. Si muore sempre più per mano di mariti, ex mariti, fidanzati ed ex fidanzati, nonostante sia stato istituito il reato di stalking già dal 2009.
Ma l’omicidio di una “femmina” in quanto femmina è generalmente soltanto la fase finale derivante da violenze fisiche e/o psicologiche che speso tormentano le vite di tante donne. La violenza e l’assassinio di genere sono l’apoteosi di mentalità pervase da machismo e maschilismo, che difficilmente possono essere curate con un banale aumento di pena. Sarebbe opportuno aiutare le donne quando sono ancora vive.
Pensare di aggiungere un’aggravante di reato includendo la violenza di genere, rischia soltanto di ghettizzare ulteriormente le donne che lottano per aver riconosciuti uguali diritti in Italia, in Europa in Occidente, come nel resto del mondo. O come faceva notare in questo articolo l’autrice del blog, di confondere omicidi “normali” con omicidi di genere, anche quando non lo sono.
Quello che sarebbe opportuno fare è creare una rete di protezione e supporto per le donne che subiscono violenza e maltrattamenti. Inasprire le pene per reati come violenza sessuale, molestie, maltrattamenti, minacce. Applicare concretamente e con tempestività le misure cautelative e le pene previste per il reato di stalking che racchiude in sé vari tipi di minacce, intimidazioni e atteggiamenti persecutori.
Flash mob, manifestazioni e spot sono utili ad alimentare il dibattito e ad estenderne la portata, ma non bastano. Un Paese che si dice civile, progressista e democratico, come l’Italia, ha bisogno di competenze, di persone giuste al posto giusto.
Un esempio. Qualche giorno fa, in occasione dell’8 marzo, mi è capitato di leggere una lettera di una mia conoscente su Facebook che ha voluto denunciare apertamente la sua situazione di violenza ripetuta da parte del marito. La cosa che più mi ha colpito e lasciato senza parole del suo racconto, è stata la risposta di un carabiniere cui si era rivolta per sporgere denuncia:
Quando fui nell'ufficio denuncie e spiegai al maresciallo di turno cosa fosse accaduto, con il referto medico in mano, lui “fortunatamente" dall'alto della sua esperienza e con fare paterno , mi fece rinvenire dicendomi: ." Signo' .. queste sono cose che succedono.. vuje mo' fate sta' denuncia .. che nn serve a niente... c'avete due bambini piccoli, non lavorate, quello mo' vostro marito s'incazza ancora di piu' e succede un casino. I panni sporchi si lavano in casa... vedete che tutto si aggiusta!" 
Trovare persone di questo tipo, quando si va a fare una denuncia per stalking o per maltrattamenti, non aiuta. All’interno delle questure evidentemente non c’è una seria preparazione riguardo vicende così delicate, e quindi il tutto è un po’ a fortuna: tanto può capitarti una persona che prende a cuore la situazione e ti spinge a reagire e a chiedere giustizia come è giusto che sia, utilizzando tutte le armi a disposizione, tanto si può trovare una persona sfaticata o sfiduciata che preferisce chiudere la pratica ancor prima di iniziarla, nemmeno si stesse denunciando il furto di un portafogli o di braccialetto.
Ma non finisce qui. La rete di protezione dovrebbe partire nel momento preciso in cui viene fatta una denuncia per stalking (ma non sempre, purtroppo, evidentemente, accade). Forze dell’ordine, servizi sociali e centri di ascolto antiviolenza dovrebbero mettere assieme le proprie forze e le proprie competenze. Di questi ultimi se ne è parlato egregiamente in una delle recenti puntate del programma Rai Presa Diretta, in cui si è proprio sottolineato il difficile lavoro che tante figure professionali esperte si trovano ad affrontare ogni giorno, aiutando migliaia di donne e bambini, spesso nell’abbandono più totale da parte delle istituzioni. La mancanza di fondi, infatti, rischia di far chiudere molti centri (non solo di ascolto ma anche quelli di accoglienza dotati di posti letto). Altro dato importante è la mancanza di un numero sufficiente di centri in alcune regioni d’Italia, come Calabria, Basilicata e Molise, dove talvolta le donne che hanno bisogno di aiuto, non riescono a raggiungere con facilità i centri che si trovano dall’altra parte della regione.
Dal servizio si evince inoltre la lentezza dei tempi giudiziari e la mancanza di misure cautelative valide per le donne che hanno sporto denuncia: in alcuni casi molte delle donne uccise in questa strage senza fine, avevano denunciato, anche più di una volta, vari tipi di minacce e maltrattamenti, senza che a queste denunce seguissero azioni concrete atte a proteggerle.
È da qui che nasce la mia perplessità: non vorrei che il “femminicidio” si riducesse a mero slogan, così come è stato a suo tempo per lo “stalking”. Le leggi sono importanti nel momento in cui è fatto ogni sforzo possibile per farle rispettare, mettendo a disposizione mezzi e risorse, altrimenti è pura propaganda.
Ma le leggi, anche quando applicate alla lettera, da sole non bastano. Bisogna partire dall’educazione e dalla rieducazione. Bisogna uscire dalla mentalità vittima-carnefice e riprendere il dialogo tra generi, capire l’importanza dell’uguaglianza tra uomo e donna nel rispetto delle differenze biologiche.






 
Come facevo notare in un articolo che ho scritto in occasione della Giornata internazione contro la violenza sulle donne: “…le donne che oggi vogliono essere diverse, minacciano la morale comune e sconvolgono modelli precostituiti, mettendo in crisi un intero sistema. Questo fa paura, fa paura a tutti. Non solo agli uomini. Se l’uomo picchia e ammazza per riaffermare il suo potere, che lentamente si sta erodendo, lo fa per paura, una paura che lo porta a sopraffare l’altro. Bisogna andare a fondo, e capire dove nasce questa paura. Perché si ha paura di un modello di donna che forse è cambiato, e non lo si vuole accettare”.
Accettare che la donna abbia nuovi ruoli, nuove possibilità d’espressione e stili di vita non è semplice per l’uomo di oggi. I vecchi modelli sono in crisi già da qualche decennio e questo ha portato a uno sconvolgimento all’interno dei nuclei familiari e affettivi. Oggi le donne scelgono con più facilità la propria vita e la propria condotta, e non tutti gli uomini, ma nemmeno tutte le donne, sono pronti ad accettare ciò.
Ho parlato, sempre nello steso articolo, di “un altro tipo di violenza, quella che le donne fanno alle altre donne. La violenza psicologica di chi impone schemi in cui rientrare per essere “donna”, prescrive “buona maniere”, stili di vita, ruoli. La violenza di chi ti dice cosa è giusto dire, fare, e come farlo. Di chi vuole che si rimanga uguali a se stesse, perché è più comodo così. Una società in cui sono le donne a giudicare le donne, a renderle deboli e vulnerabili quando non rientrano nel concetto di “donna” che tutta la società si aspetta.”
Questo succede anche quando le madri, le zie, le nonne, le cognate o le sorelle, ti invitano a sopportare maltrattamenti per preservare la famiglia o la relazione, per “difendere i figli”, l’immagine, il “nome”.
Eppure siamo noi donne, noi future mamme, insieme ai futuri padri, ad avere una grande responsabilità:insegnare ai nostri figli, ancora una volta, il rispetto per le donne, unito alla consapevolezza che rispettare le donne (di qualunque età, nazionalità, etnia, religione) non sia segno di debolezza, ma una grande qualità, un grande pregio.
Con l’augurio che un giorno questo pregio diventi normalità. 

Luisa Ferrara

martedì 12 marzo 2013

Il M5S e la politica reale.


Da Il Caffè del 9 marzo 2013.


Qualcuno faceva notare in questi giorni che siamo senza Papa, senza Governo e anche senza Capo della Polizia (perché ricoverato). Quasi uno stato di “anarchia”, certamente temporaneo, dai toni un po’ “alternative”, che i punk inglesi potrebbero anche invidiarci.
Ma aldilà dei commenti ironici, che l’Italia stia attraversando un periodo complesso, è ormai cosa assodata. Si dice che la crisi sia l’inizio della rinascita, se è così allora possiamo solo aspettare. Del resto, dal voto espresso nelle ultime elezioni, è parsa chiara l’esistenza di una parte dell’Italia che vuole restare ancorata alla vecchia politica e a vecchi simboli che sembravano superati, come il berlusconismo e tutto ciò che incarna. D’altro canto però, una bella fetta di italiani si è avvicinata alla cosiddetta antipolitica di Grillo, a quel Movimento 5 Stelle che ha portato in Parlamento il voto di protesta, la voglia di cambiare o meglio di distruggere la vecchia politica.
Quello che mi preme sottolineare, restando fedele allo scopo di questa nostra rubrica, è lo sciogliersi dell’antitesi reale-virtuale. Il movimento di Grillo parte dalla Rete, da quel World Wide Web che unisce persone lontane fisicamente in un unico luogo, attraverso piattaforme che permettono un dialogo pressoché “universale”. Non c’è limite alla partecipazione, alla libertà di pensiero e di espressione, tutti possono dire la propria, finalmente, tutti possono fare politica, essere opinionisti, apportare la propria visione delle cose. L’informazione non è più unidirezionale, ma è orizzontale. E con essa anche la comunicazione politica, nel tempo, è stata costretta a cambiare, ma non sempre è riuscita nello scopo. Il fatto di utilizzare un mezzo così vasto e potente, che permette una comunicazione orizzontale, non significa saperla fare.
Grillo e  Casaleggio in questo sono stati bravi, e il Movimento si è saputo muovere attraverso la Rete e le piazze, tenendo lontano i giornalisti, simbolo secondo loro del vecchio modo di fare comunicazione, quel Quarto Potere che parla ancora da uno a molti, che non è più controllo dell’operato dei potenti, che si è lasciato “asservire”. Nelle critiche di Grillo c’è sicuramente del vero, nel desiderio “distruttivo” del Movimento ci sono probabilmente tanti buoni propositi.
Il problema è capire se questa “rivoluzione” sia possibile farla in Parlamento, tenendo presente la nostra Costituzione, lo spirito democratico che la anima. Perché va bene voler punire quella classe politica nascosta dietro ai propri privilegi, ma bisogna fare i dovuti distinguo, altrimenti con un generico “tutti a casa” si rischia di far di tutta l’erba un fascio. E di questo gli italiani non hanno bisogno, non è la demagogia che ci porterà a cambiare, ma la consapevolezza che la politica non è cosa “altra” dai cittadini, ma ci appartiene. E’ da qui che bisogna partire, perché in fondo la politica, e scusate se ricorro a frasi già sentite, non è nient’altro che lo specchio della società. Ed è anche responsabilità nostra mandare al potere gente onesta, uscire dal classico “tifo politico”con cui siamo abituati e guardare ai fatti, informarci e farsi domande.
Il passaggio da reale a virtuale non è dunque così semplice, così scontato, così immediato. E’ necessario che ora il Movimento mostri le competenze e la concretezza di cui ha sempre lamentato la mancanza nella nostra classe politica, impegnandosi a governare, ed è ora che si metta in discussione, che accetti di farsi conoscere, anche tramite quel giornalismo classico che negli ultimi anni tanti sforzi sta compiendo per aggiornarsi e sopravvivere online e non solo. 

Luisa Ferrara

venerdì 1 marzo 2013

Differenziata? Si può fare ancora di più.

Da Il caffè del 23 febbraio 2013



Questo il claim della campagna di sensibilizzazione avviata dal Comune di Caserta per far conoscere meglio ai cittadini i servizi e le modalità della raccolta differenziata. Da pochi giorni è nato un nuovo sito web www.differenziatacaserta.it fresco e colorato, con un’immagine evocativa di bimbi che corrono all’aperto, e con il “più” sostituito da un + a simbolo, quasi a rappresentare una crocetta rosa, forse ad indicare l’importanza per la vita e la salute di corretti “comportamenti ambientali”.
Una sezione del sito spiega come separare i rifiuti in casa, dividendoli in ben 8 categorie: umido, carta e cartone, indifferenziato, multimateriale, farmaci e pile, ingombranti, rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, oli commestibili esausti.
In un’altra sezione del sito è spiegato che per i rifiuti ingombranti è possibile chiedere il ritiro a domicilio su prenotazione chiamando un numero verde “per particolari esigenze”, ma non è specificato quali. In generale, infatti, i cittadini sono tenuti a depositare i rifiuti ingombranti come materassi, poltrone, divani, tavoli, biciclette, mobili vecchi ecc., presso le 3 isole ecologiche della città.
Le pile e i farmaci vanno lasciate negli appositi contenitori che si trovano presso gli i rivenditori, mentre per i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (raee) è possibile la raccolta domiciliare su prenotazione o lo smaltimento presso le isole ecologiche. Ma se si compra un nuovo elettrodomestico, ad esempio, è importante sapere che per legge quello in disuso deve essere smaltito dal rivenditore. Anche gli oli esausti commestibili devono essere smaltiti presso i centri di raccolta (isole ecologiche).
E’ inoltre prevista la raccolta dei cartoni per i commercianti, divisi in piccole utenze e grandi utenze, che verrà fatta presso l’esercizio in determinate fasce orarie e giorni.
Il porta a porta è valido invece per tutte le altre tipologie di rifiuti: ci sono specifici giorni e orari per umido, multimateriale, carta e cartone e indifferenziato. Per chi avesse dei dubbi su quali rifiuti appartengono a queste categorie, può trovare molti esempi sul sito stesso. I kit di sacchetti possono essere ritirati sempre presso le isole ecologiche, ogni 6 mesi. Sul sito ci sono gli indirizzi delle isole ecologiche, con tanto di cartina.
Alcune parti del sito, come quella che potrebbe essere molto interessante, “Dizionario della Raccolta Differenziata”, sono ancora in allestimento. Sembra sia prevista l’attivazione dei relativi account Facebook, Twitter e You Tube, anche se nessuno di questi è per ora ancora attivo.
Un primo passo per collegare i cittadini al Comune su tematiche così importanti sembra esser stato fatto. E’ importante però che il sito non resti un luogo virtuale passivo e poco aggiornato, ma una comunità dove possibile confrontarsi, trovare informazioni costantemente aggiornate e risposte a dubbi o problemi, attraverso un filo diretto costante con il Comune e con chi per esso si occupa della raccolta.
Luisa Ferrara

venerdì 22 febbraio 2013

Terra violata.


Da Il caffè del 16 Febbraio 2013.


GRANDE FOLLA ALL’INCONTRO SU SVERSAMENTI ABUSIVI E ROGHI DI RIFIUTIORGANIZZATO DA ALCUNE ASSOCIAZIONI CITTADINE. DON ANTONELLO GIANNOTTI: RIUNIONI MENSILI SULL’ARGOMENTO.
Una musichetta allegra e rilassante, le immagini di rifiuti abbandonati e il fumo nero dei roghi. Cose inconciliabili, messe però assieme da Romano Montesarchio nel video che ha aperto l’incontro “Terra Violata”, probabilmente per sottolineare l’assurdità di queste situazioni. «Questa è un’emergenza sanitaria» spiega nell’intervento di apertura Giuseppe Tescione di OsservAzione, «che vede purtroppo tra i responsabili la malavita organizzata, ma anche i cittadini comuni che, per incuria, ignoranza o inciviltà, sversano il frigorifero, il materasso, il seggiolino per auto dei bambini, non sfruttando i servizi messi a disposizione dalle nostre amministrazioni». E chiude: «Qui si muore di cancro, e ciò è frutto della malagestione della cosa pubblica degli ultimi 30 anni. Non ha colori politici». Uno schiaffo in faccia.
Così si è aperto l’incontro tenutosi venerdì 8 febbraio presso la sala Moscati della chiesa del Buon Pastore a Caserta, una tavola rotonda sul grave problema degli sversamenti abusivi e dei roghi tossici di rifiuti nel territorio casertano, organizzata dal Com.E.R. (Comitato Emergenza Rifiuti), da OsservAzione e dal circolo Legambiente di Caserta. L’incontro ha visto la partecipazione di tantissimi cittadini, che hanno affollato la piccola saletta, messa a disposizione da Don Antonello Giannotti, portando con sé tanta indignazione e tante domande. Al convegno hanno partecipato, oltre al parroco, il magistrato Raffaele Piccirillo del Tribunale di Napoli (noto per aver ordinato il sequestro della discarica sita nella zona Lo Uttaro) e il dott. Gaetano Rivezzi, dell’Associazione ISDE Medici per l’ambiente. Ha moderato la tavola rotonda la giornalista Marilù Musto de Il Mattino di Caserta, che già più volte si è occupata di tali tematiche.

L’allarme sociale è forte ormai già da qualche anno, e la popolazione comincia ad essere molto preoccupata per l’alto rischio sanitario legato alle varie forme di smaltimento illecito dei rifiuti, ovvero discariche abusive, sversamento di veleni nelle campagne e roghi di rifiuti. Tra le provincie di Napoli e Caserta c’è purtroppo una zona franca dove tutto è possibile, dove non c’è controllo, dove la legge non ha potere. Tonnellate e tonnellate di rifiuti, talvolta pericolosi, vengono abbandonati ogni giorno nelle campagne coltivate, ai lati delle strade o nei canali, inquinando terreni e falde acquifere, o sono dati alle fiamme per far posto ad altri rifiuti, impedendo così anche di risalire ai responsabili dello sversamento.
Il dott. Rivezzi ha evidenziato i dati allarmanti sulla mortalità per patologie oncologiche che, secondo un recente studio dell’Istituto per i tumori Pascale di Napoli, negli ultimi 15 anni è aumentata solo nel napoletano fino al 47% e nel casertano del 28,4% tra gli uomini e del 32,7% tra le donne. Specifici studi sulla presenza di diossina nel sangue di donne campane, hanno rilevato tassi alti di presenza della sostanza molto al di sopra della norma, pericolosi per lo sviluppo del feto e per la salute del bambino.
Nonostante, a più voci, gli amministratori pubblici abbiano dichiarato la fine dell’emergenza rifiuti, in tutta la conurbazione urbana casertana e in particolare nelle strade di confine tra i vari comuni, è aumentato vertiginosamente il fenomeno dell’abbandono dei rifiuti e dei conseguenti roghi. Un enorme affare per la camorra, in particolar modo per il clan dei casalesi, che, con la collusione di parte della politica e dell’imprenditoria locale, compie ogni giorno questo scempio. Così, una regione naturalmente predisposta all’agricoltura e all’allevamento, si ritrova a contrastare un inquinamento pericoloso per l’ambiente e per la salute, senza poter contare su leggi adeguate che davvero puniscano i responsabili di tali crimini.
Il magistrato Raffaele Piccirillo denuncia con veemenza, già da diverso tempo, la mancanza di pene commisurate ai danni perpetuati all’ambiente dalla criminalità o da incoscienti imprenditori affaristi collusi con essa. Quello che più fa male ai cittadini, è l’assistere al silenzio assordante delle Istituzioni su queste problematiche, e la terribile sensazione di essere soli a lottare contro i mulini a vento.

C’era il rischio che passasse un decreto, presentato dal governo negli ultimissimi giorni del proprio mandato, che permettesse di incenerire rifiuti all’interno delle cave. Ciò avrebbe portato a situazioni ambientali rischiosissime per le persone, soprattutto in città che hanno le cave a un tiro di schioppo. «Siamo contrari a ogni norma, come quella dello schema di decreto in esame alla Commissione Ambiente della Camera lunedì prossimo, che ipotizzi l’autorizzazione a trattare rifiuti nei cementifici», aveva detto sia all’incontro sia in una nota stampa il sindaco Pio Del Gaudio.
Nel frattempo lunedì 11 febbraio è passato, e la Commissione Ambiente ha espresso il proprio parere contrario al decreto, scongiurando quindi ogni rischio per la salute dei cittadini. Il sindaco, però, sottolinea la necessità per Caserta di avere un impianto di trattamento dei rifiuti. «Non un inceneritore e non in zona Lo Uttaro. Lo dico anticipatamente e in maniera netta per bloccare ogni polemica e ogni strumentalizzazione», tranquillizza il primo cittadino. Resta da vedere di cosa si tratterà. Lunedì scorso c’è stato il primo incontro con le associazioni per decidere. «Auspico che il confronto continui proficuamente» fa sapere Del Gaudio in un comunicato «e sia unicamente improntato al fare, piuttosto che a pregiudizi o configurazioni di scenari più ampi delle opportunità e delle urgenze che interessano Caserta».
Ricordiamo che una parte della discarica di Lo Uttaro è ancora piena di rifiuti. Giovanni Romano, assessore regionale all’Ambiente, ha fatto sapere che sono stati stanziati 150 milioni di euro per interventi di compensazione ambientale, 10 dei quali sono per il ripristino dell’area di Lo Uttaro. La bonifica, però, non inizierà a breve: infatti, solo ad aprile inizieranno le gare d’appalto. Insomma, prima o poi la bonifica si farà. Il problema è che non si sa quando.
Nel suo intervento, Don Antonello Giannotti - che propone di fare riunioni mensili per discutere dell’argomento rifiuti e ambiente sul nostro territorio - ha dichiarato che dei 170 funerali celebrati nella sua chiesa lo scorso anno, 150 erano di morti per cancro. Se le cose continueranno così si rischia «un esodo biblico», dice il parroco. E probabilmente è anche arrivato il momento di dire basta a tutto ciò.

 Luisa Ferrara e Donato Riello




giovedì 7 febbraio 2013

Se una notizia è bella...


Da Il caffè del  3 febbraio 2013


E’ facile che ascoltando il Tg regionale della Campania o leggendo i vari giornali online, locali e non, si apprendano notizie non sempre “belle” su quello che accade in Campania. Del resto c’è il sentore un po’ generale che le belle notizie non siano vere e proprie notizie, ma in qualche modo “propaganda”, o al massimo “promozione”. Quindi raccontare i problemi, è più o meno, la regola.
Vivere in Campania non è semplice: si prova quotidianamente il forte contrasto tra la consapevolezza delle grandi potenzialità del nostro territorio, e l’incapacità o la non volontà di saperle sfruttare al meglio.
Si sente parlare a volte di inciviltà diffusa, di non rispetto delle regole, di rifiuti abbandonati per strada, di roghi tossici non denunciati, e tanto altro ancora. Ma la Campania è fatta anche degli autobus senza gasolio, delle corse dimezzate della Circumvesuviana, delle strade piene di buche, di giovani laureati che emigrano al Nord o all’estero, dei disoccupati talmente disoccupati, che ormai si sono “organizzati”.
Siamo un popolo talmente mancante di speranza e succube della rassegnazione, che forse non sappiamo più cosa farcene della pizza, de sole e del mandolino.
Manca una volontà dall’alto nel cambiare le cose, l’intervento delle Istituzioni può dirsi saltuario, e purtroppo, poco incisivo.
Eppure palpiti di speranza, di voglia di cambiamento, arrivano, dalla gente, dalle persone comuni, quelle oneste e operose, che sono tante, spesso silenziose, spesso stanche.
Impianti fotovoltaici, è record. La Campania punta sull'energia pulita” -  possiamo leggere su Repubblica online, ed esser fieri di essere il primo capoluogo di Provincia con più megawatt di energia pulita prodotta: solo a Caserta, secondo l’Enel, più di 1893 allacci, a Napoli 1631, a Salerno 1357, a Benevento 873.
L’Ansa scrive: “ Nel corso del terzo trimestre del 2012 torna in territorio negativo la dinamica delle esportazioni dei distretti tradizionali del Mezzogiorno, monitorati da Intesa Sanpaolo. Fa eccezione la Campania dove hanno sperimentato buoni ritmi di crescita le esportazioni del distretto del caffè e della pasta napoletana e delle Conserve di Nocera….”.
I prodotti tipici locali, vincono ancora, nonostante il forte inquinamento del nostro territorio e la mancanza di accertamenti di responsabilità e bonifiche. Segno che molte zone, forse, sono ancora salve, e che siamo riusciti in parte a preservare ciò che ci dà lavoro e vita, perché non continuare a farlo?
Una notizia su tutte mi ha colpito: dal sito web della rivista Denaro.it, versione online della storica rivista economica cartacea campana, si legge di nuove tecnologie in grado di “telerilevare” l’inquinamento delle acque e del territorio: “Il velivolo (Atr 42 MP della Guardia costiera) è dotato di una sofisticata strumentazione (Radar SLAR) in grado di operare il telerilevamento e il controllo del territorio e di restituirne poi una attenta fotografia relativa alle fonti di inquinamento. E’ cioè in grado di attivare una mappa di alert ambientali di varia natura perché il corpo delle capitanerie lo ha allestito e dedicato alle finalità istituzionali di monitoraggio ambientale”.
Alcuni test sono già stati effettuati sul litorale Domitio , sul Volturno e sul Sarno. Sembra che la Regione Campania voglia stipulare una convenzione con la Guardia Costiera, per un progetto di monitoraggio della “Terra dei fuochi” per la lotta contro i roghi abusivi tossici e per rilevare discariche abusive nascoste e prevenire gli sversamenti da parte delle ecomafie. Un progetto sicuramente ambizioso, ma certamente necessario, che auspichiamo possa realizzarsi nel più breve tempo possibile.
Ciò che forse manca, e sarebbe necessario in un processo di questo tipo, è l’inasprimento delle pene per i reati contro l’ambiente, altrimenti si rischia di continuare a investire denaro e forze in battaglie lunghe e fondamentali senza alcuna certezza che chi ha commesso crimini ne paghi le conseguenze, vanificando l’operato di forze dell’ordine, Istituzioni, magistrati e cittadini. 

Luisa Ferrara

giovedì 31 gennaio 2013

Elezioni social.


Da Il caffè del 26 gennaio 2013


E’ da più di un anno che provo a raccontare come la discussione politica si sia ormai spostata anche online, e in particolare sui social network come Facebook o Twitter.
Finalmente anche la grande stampa, quella che conta, ha cominciato a capire l’importanza di questi mezzi, le potenzialità e anche i “pericoli”. Ad analizzare la comunicazione politica dei tweet di Twitter o dei post di Facebook, a studiare il seguito di un politico piuttosto che di un altro, a cercare di capire quant’è forte la ripercussione che ha una dichiarazione quando a seguire un determinato esponente o partito, può esserci potenzialmente una grossa fetta della Rete.
E fioccano anche analisi e statistiche. Che non mancano mai, in un’Italia così incerta.
Secondo i dati Nielsen, l’Italia è al primo posto nell’utilizzo di social media, anche più degli Stati Uniti. Gli italiani passano tanto tempo su blog e social network, all’incirca 1/3 di tutto il tempo trascorso online.


Un occasione ghiotta, fanno notare gli studi Nielsen, per le imprese e il marketing, e ovviamente, aggiungerei anche per la politica. Che in fondo non fa che vendere un “prodotto”, imbonendo il compratore che sia meglio di quello degli altri. Che sia un programma, un’ideale, un progetto, o una grande bugia.
Dopo anni in cui lo spirito critico degli italiani è stato messo a dura prova dal duopolio televisivo Rai-Mediaset, da un conflitto di interessi palese e mai affrontato seriamente, da un editoria stanca e conservatrice di se stessa, forse queste nuove modalità di comunicazione e partecipazione, possono sembrare un respiro di sollievo, una nuova opportunità di conoscere i fatti e poterli commentare.
Ma quanto realmente l’approccio dei nostri esponenti politici è innovativo e significativo? Quanto, invece, resta solo lo specchio del loro modo classico di comunicare agli italiani? Quanto, la loro presenza online è cassa di risonanza di combattimenti in arene televisive, trasformando la partecipazione degli utenti dei social media in mero commento dei peggior teatrini che si tengono nei salotti dei più seguiti talk show?
Non sono queste domande retoriche, perché le risposte possono essere varie e contrastanti. L’uso che se ne fa di questi mezzi dipende ancora una volta dal grado di consapevolezza che si vuole avere dei fatti, da quanto si è interessati a un’informazione sana e pulita, che non sia tifo politico.
La campagna elettorale che ci porterà alle elezioni del 24 e 25 Febbraio è ancora fatta di manifesti e comparse televisive, mentre la forma del comizio sta, in taluni casi, lasciano spazio a una piazza “virtuale”. Alcuni esempi contrastano con questa tendenza, come i palchi di Beppe Grillo o come Matteo Renzi che ha girato l’Italia in camper.
In ogni caso, secondo il sociologo Marcio Morcellini, Twitter in particolare, ha il merito di fornire delle parole chiave, ossia argomenti rilevanti, che poi il politico andrà a sviluppare in tv. Chi l’avrebbe mai detto che un “hastag” sarebbe diventato più importante di uno slogan su un manifesto, o un discorso preparato?
Ma la cosa più importante, che ad esempio offre un mezzo come Facebook, dove sicuramente c’è più spazio per esprimersi rispetto ai 140 caratteri di un tweet, è la possibilità di raccontare le proprie giornate, il proprio operato, ribadire le leggi per cui si è lottato o votato contro, rendere partecipe chi ci segue  delle proprie idee e progetti, senza passare per un’intervista giornalistica, un articolo di giornale, l’interpretazione di un “avversario”. Diretti all’interlocutore, senza filtri, se non quello dello Staff incaricato di aggiornare la propria pagina, e magari eliminare i commenti più scomodi.
Che vinca, dunque, lo Staff migliore.

Luisa Ferrara

martedì 22 gennaio 2013

Il legame tra Cosentino e i colletti bianchi della camorra casalese.



Ho smesso di chiedermi da un pezzo, come mai un essere come Cosentino Nicola, sia in politica.

Perché sia in Parlamento e come ci sia arrivato, è fin troppo chiaro, agli occhi di tutti, di tutti quelli che vogliono vedere.

Secondo l'accusa Nicola Cosentino è un camorrista, un interno, non solo un tramite con la camorra casalese.

E' stato condannato, non in "via definitiva", ma ci sono prove schiaccianti contro di lui (come foto e intercettazioni).

Non è stato condannato in via definitiva, solo perché è stato salvato dal Parlamento, quando la Camera ha votato contro il suo arresto.

Perché i miei concittadini campani continuano a votarlo, a sostenerlo, ad applaudirlo?

Non mi è chiaro.

Forse a questa specie di gente, piace che la nostra terra sia inquinata da rifiuti tossici, che la criminalità governi, che i colletti bianchi siano sempre più corrotti. Che l'ingiustizia regni sovrana.

Ma a molti campani non va giù. E non sono solo indignati, ma anche arrabbiati.

E' arrivato il momento di dimostrare che non siamo succubi di questa brutta gente, e che abbiamo la forza di reagire. Ringraziando Dio c'è stato dato il voto, usiamolo con cervello.

Cacciamo le palle.

domenica 20 gennaio 2013

Raccontare non è speculare.



Credo che Roberto Saviano, in quanto essere umano, possa essere criticato assolutamente, ma dargli colpe che non ha mi sembra assurdo. Quei manifesti sono ridicoli, e chi li ha fatti ha la responsabilità, ancora una volta, di far fare un passo indietro a Scampia. E non perché non si farà la fiction, di cui non è detto che si debba sentire l'esigenza, ma perché si avalla l'ipotesi che raccontare le cose significhi avere la colpa di quello che accade. Deplorevole concetto, camorristico e mafioso.

L'ho scritto stamattina su Facebook, commentando il post di un collega.

Fiction o non fiction? Non è questo il problema.

Sicuramente a Scampia serve altro, serve tanto, partendo dal legittimare e dar luce al lavoro che tante associazioni, e tante brave e oneste persone, fanno ogni santissimo giorno sul territorio. E' giusto lottare affinché tutto questa venga fuori e vada finalmente dinanzi alle telecamere, ma non si può trattare Saviano come uno che gode delle miserie di Napoli e provincia per "farsi i soldi sopra". Questo farebbe il gioco di chi finora lo ha denigrato affinché si spaventasse e non raccontasse più. Ma raccontare i fatti talvolta è un modo per uscire allo scoperto, e cominciare ad ammettere i problemi, prima di trovare il modo di risolverli. E per risolverli, ahinoi, non basta la penna di uno scrittore o di un giornalista, ma serve grande morale, coscienza civile, interesse dello Stato, azione politica.

Non ce lo dimentichiamo.




giovedì 17 gennaio 2013

L'oscenità di Marchionne.

L'ho scritto qualche giorno fa sul mio profilo Facebook, presa dalla rabbia:


Come si fa a dire che uno che mette per anni i suoi operai in cassa integrazione sia un grande imprenditore? Parliamone, parliamo di Marchionne, provate ancora a difenderlo. E' una vergogna. Un grande imprenditore, che crede nel libero mercato, non si affida continuamente allo Stato per mettere le toppe ai problemi della sua azienda. Perché è così difficile da capire che la Fiat non ha futuro?

E continuo a pensarlo, giorno dopo giorno.

Marchionne è uno di quegli esseri che mi crea profonda amarezza. Faccia come il culo, nessuna sensibilità, poca bravura e tanta supponenza.

Un uomo che non ama la sua azienda, non cerca di difenderla, ma vuole solo scampare ai problemi e continuare a incassare milioni e milioni di euro all'anno.

La cosa "bella" è che continua, indisturbatamente, a fottersi soldi dallo Stato e a prendere per i fondelli tutti.

Le sue dichiarazioni rasentano ormai il ridicolo, mi ricordano un altro esponente dell'imprenditoria italiana, le cui aziende però perlomeno funzionano. Non fatemi fare nomi.