giovedì 1 novembre 2012

I giovani, il lavoro e la Fornero.



L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro” afferma la nostra Carta Costituzionale, tanto citata, bistrattata, amata e odiata. La nostra democrazia dovrebbe dunque basarsi sulla dignità che il lavoro promette a ogni singolo uomo per l’impegno dato quotidianamente e atto a migliorare la società e a promuovere il “bene comune”. Parole, parole, parole, dice una famosa canzone. Perché mai come oggi sembra che il lavoro stia perdendo il suo valore fondamentale. Dopo anni di lotte per i diritti dei lavoratori, oggi sembra che sia il “mercato” a governare le nostre vite, e che la possibilità di scelta si sia ridotta drasticamente rispetto alle passate generazioni. Sembra che le generazioni “00” abbiano meno diritti delle precedenti, e che le leggi sul lavoro si siano svuotate della loro importanza (si pensi all’Articolo 18).
Eppure oggi il livello di istruzione medio della popolazione è aumentato. Molti giovani accedono alle università, il lavoro si è specializzato e, talvolta, intellettualizzato. La crisi economica ha lasciato dietro di sé centinaia di disoccupati, e le politiche del lavoro degli ultimi decenni hanno precarizzato un’intera generazione. Come si fa a uscire da questa situazione? Quali sono le proposte? Silenzio. Nemmeno il governo tecnico finora è stato in grado di dare risposte, la priorità è ancora il risanamento del debito pubblico, come se la crescita del nostro Paese rappresentasse un problema secondario. Viene da sé, che senza lavoro, nessuna crescita vera è possibile.
I più penalizzati sono proprio i giovani, sì, quei giovani laureati, specializzati,masterizzati, che escono dalle università italiane pieni zeppi di teoria e hanno enormi difficoltà a incanalarsi in un mercato saturo, avverso, competitivo in modo insano, non sempre basato sul reale merito. Lo stage non retribuito è talvolta l’unica modalità per cominciare a fare un po’ di pratica e non sentirsi dei “pesci fuor d’acqua”. Accettare o non accettare, questo il dilemma? A volte pur di far esperienza nel settore in cui si ha desiderio di entrare e lavorare, si accettano condizioni pessime. Tanti giovani con ottimi titoli di studio sono costretti per mantenersi o comunque per aiutare le famiglie, a fare lavoretti che si spera siano temporanei, ma che talvolta non lo sono. Lavoretti in altri ambiti, lavoretti per i quali non serve una laurea, ma basta il diploma o talvolta anche la terza media. A questo punto ci si chiede perché investire tante forze e soldi per ottenere una laurea se poi “ci si deve accontentare”.
Gli internauti più attenti saranno sicuramente a conoscenza dell’ultima esternazione del Ministro Elsa Fornero, che ha suscitato tanto clamore su Twitter e in generale online: “I giovani non devono essere troppo choosy (in inglese: esigenti, difficili, ndr) nella scelta del posto di lavoro. Lo dico sempre ai miei studenti: è meglio prendere la prima offerta di lavoro che capita e poi, da dentro, guardarsi intorno, non si può più aspettare il posto di lavoro ideale, bisogna mettersi in gioco.”
In brevissimo tempo questa dichiarazione ha suscitato il putiferio: “Non fate i #choosy : se termina la carta igienica, potete usare la laurea che giace nel cassetto”; " ‘I giovani sono #choosy’  ha detto un ministro della repubblica dopo aver ben sistemato tutta la famiglia all'università.”; “Se non hai ambizioni sei un debosciato, se le hai sei #choosy.” E ancora, continuando sulla scia rabbiosa: “Eh, pure voi: vi esce un posto per pulire i cessi alla Termini dopo un master da 10 mila euro? Accetate! Non siate choosy, no? #Fornero”.
Sarcasmo misto a irritazione e sfiducia, questo il quadro dopo aver letto svariati e articoli e dichiarazioni. Allora più che condannare la Fornero, viene da chiedersi: qual è il senso di una dichiarazione di questo tipo? Che tipo di consiglio è? A chi è diretto? Perché fa infervorare i più? Forse perché i giovani che si accontentano sono già tanti, sfiduciati da una società infetta da un nepotismo e da un clientelismo che feriscono gli onesti e i volenterosi. Forse perché la nostra è una società dove l’ambizione non è incentivata e il merito non è premiato.
Accontentarsi del primo impiego può essere una scelta intelligente se poi si ha la certezza e la sicurezza che, lavorando duro, si possa crescere e migliorare. Oltre al fatto che accontentarsi di lavoretti precari e lontani dal proprio ambito non aiuti certo a migliorare il curriculum vitae, che oggi sembra essere la cosa più importante. Il dilemma talvolta è:  guadagnare facendo qualcosa che non piace o fare quello che ci piace senza retribuzione? Forse è di questi problemi che dovrebbe occuparsi un Ministro del Lavoro, invece che dare consigli non richiesti, su basi statistiche non ben chiare.
Riformare l’università, incentivare l’apprendimento di competenze pratiche spendibili nelle professioni, aumentare i livelli di selezione, migliorare le forme contrattuali di stage e tirocinio garantendo agli studenti, ai laureandi e ai neolaureati il diritto a non essere sfruttati. Ma la cosa più importante dovrebbe essere il mettere ordine nelle miriadi di forme contrattuali che precarizzano il lavoro, lo svuotano del suo valore e non danno dignità alle competenze personali e professionali. Il talento va incentivato, così come il sapere, le giovani mente hanno bisogno di supporto e bisogna dire ai giovani che devono lavorare sodo, certo, perché prima o poi il mondo li ripagherà del loro impegno. Steve Jobs diceva: “Siate affamati, siate folli”. 
Una via di mezzo non sarebbe poi male, no? 

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