“
L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”
afferma la nostra Carta Costituzionale, tanto citata, bistrattata, amata e
odiata. La nostra democrazia dovrebbe dunque basarsi sulla dignità che il
lavoro promette a ogni singolo uomo per l’impegno dato quotidianamente e atto a
migliorare la società e a promuovere il “bene comune”. Parole, parole, parole,
dice una famosa canzone. Perché mai come oggi sembra che il lavoro stia
perdendo il suo valore fondamentale. Dopo anni di lotte per i diritti dei
lavoratori, oggi sembra che sia il “mercato” a governare le nostre vite, e che
la possibilità di scelta si sia ridotta drasticamente rispetto alle passate
generazioni. Sembra che le generazioni “00” abbiano meno diritti delle
precedenti, e che le leggi sul lavoro si siano svuotate della loro importanza
(si pensi all’Articolo 18).
Eppure oggi il livello di istruzione medio della
popolazione è aumentato. Molti giovani accedono alle università, il lavoro si è
specializzato e, talvolta, intellettualizzato. La crisi economica ha lasciato
dietro di sé centinaia di disoccupati, e le politiche del lavoro degli ultimi
decenni hanno precarizzato un’intera generazione. Come si fa a uscire da questa
situazione? Quali sono le proposte? Silenzio. Nemmeno il governo tecnico finora
è stato in grado di dare risposte, la priorità è ancora il risanamento del
debito pubblico, come se la crescita del nostro Paese rappresentasse un
problema secondario. Viene da sé, che senza lavoro, nessuna crescita vera è
possibile.
I più penalizzati sono proprio i giovani, sì, quei
giovani laureati, specializzati,masterizzati, che escono dalle università
italiane pieni zeppi di teoria e hanno enormi difficoltà a incanalarsi in un
mercato saturo, avverso, competitivo in modo insano, non sempre basato sul
reale merito. Lo stage non retribuito è talvolta l’unica modalità per
cominciare a fare un po’ di pratica e non sentirsi dei “pesci fuor d’acqua”.
Accettare o non accettare, questo il dilemma? A volte pur di far esperienza nel
settore in cui si ha desiderio di entrare e lavorare, si accettano condizioni
pessime. Tanti giovani con ottimi titoli di studio sono costretti per
mantenersi o comunque per aiutare le famiglie, a fare lavoretti che si spera
siano temporanei, ma che talvolta non lo sono. Lavoretti in altri ambiti,
lavoretti per i quali non serve una laurea, ma basta il diploma o talvolta
anche la terza media. A questo punto ci si chiede perché investire tante forze
e soldi per ottenere una laurea se poi “ci si deve accontentare”.
Gli internauti più attenti saranno sicuramente a
conoscenza dell’ultima esternazione del Ministro Elsa Fornero, che ha suscitato
tanto clamore su Twitter e in generale online: “I giovani non devono essere troppo choosy (in inglese: esigenti,
difficili, ndr) nella scelta del posto di
lavoro. Lo dico sempre ai miei studenti: è meglio prendere la prima offerta di
lavoro che capita e poi, da dentro, guardarsi intorno, non si può più aspettare
il posto di lavoro ideale, bisogna mettersi in gioco.”
In brevissimo tempo questa dichiarazione ha suscitato il putiferio: “Non fate i #choosy : se termina la
carta igienica, potete usare la laurea che giace nel cassetto”; " ‘I giovani sono #choosy’ ha detto
un ministro della repubblica dopo aver ben sistemato tutta la famiglia
all'università.”; “Se non hai
ambizioni sei un debosciato, se le hai sei #choosy.” E ancora,
continuando sulla scia rabbiosa: “Eh,
pure voi: vi esce un posto per pulire i cessi alla Termini dopo un master da 10
mila euro? Accetate! Non siate choosy, no? #Fornero”.
Sarcasmo misto a irritazione e sfiducia, questo il quadro dopo aver letto
svariati e articoli e dichiarazioni. Allora più che condannare la Fornero,
viene da chiedersi: qual è il senso di una dichiarazione di questo tipo? Che
tipo di consiglio è? A chi è diretto? Perché fa infervorare i più? Forse perché
i giovani che si accontentano sono già tanti, sfiduciati da una società infetta
da un nepotismo e da un clientelismo che feriscono gli onesti e i volenterosi.
Forse perché la nostra è una società dove l’ambizione non è incentivata e il
merito non è premiato.
Accontentarsi del primo impiego può essere una scelta intelligente se poi
si ha la certezza e la sicurezza che, lavorando duro, si possa crescere e
migliorare. Oltre al fatto che accontentarsi di lavoretti precari e lontani dal
proprio ambito non aiuti certo a migliorare il curriculum vitae, che oggi
sembra essere la cosa più importante. Il dilemma talvolta è: guadagnare facendo qualcosa che non piace o
fare quello che ci piace senza retribuzione? Forse è di questi problemi che
dovrebbe occuparsi un Ministro del Lavoro, invece che dare consigli non
richiesti, su basi statistiche non ben chiare.
Riformare l’università, incentivare l’apprendimento di competenze pratiche
spendibili nelle professioni, aumentare i livelli di selezione, migliorare le
forme contrattuali di stage e tirocinio garantendo agli studenti, ai laureandi
e ai neolaureati il diritto a non essere sfruttati. Ma la cosa più importante
dovrebbe essere il mettere ordine nelle miriadi di forme contrattuali che
precarizzano il lavoro, lo svuotano del suo valore e non danno dignità alle
competenze personali e professionali. Il talento va incentivato, così come il
sapere, le giovani mente hanno bisogno di supporto e bisogna dire ai giovani
che devono lavorare sodo, certo, perché prima o poi il mondo li ripagherà del
loro impegno. Steve Jobs diceva: “Siate
affamati, siate folli”.
Una via di mezzo non sarebbe poi male, no?