mercoledì 24 ottobre 2012

Vitalizio sì, vitalizio no?

Da Il caffè del 19 Ottobre 2012.

Ansa.it

Nicole Minetti è uno di quei personaggi della nostra Repubblica che esemplifica al meglio l’epilogo, lento e triste, del pomposo “Popolo delle Libertà”.
Negli ultimi giorni sono state tante le testate online che hanno denunciato l’assurda eventualità per cui il consigliere regionale Minetti potesse ricevere il vitalizio una volta arrivata a metà legislatura, ovvero il 21 ottobre 2012, data valida ovviamente anche per tutti gli altri consigliere regionali della Lombardia.

Si è creato un caso mediatico, sono volate imprecazioni ed è stata indetta anche una petizione, che in poche ore ha ottenuto milioni di firme. Tutti contro la possibilità che a soli 27 anni la signorina possa avere una pensione a vita. Molti internauti si sono mostrati scandalizzati nei commenti ai vari articoli, così come su Facebook e Twitter, e alcuni giornalisti ci hanno tenuto a precisare che la Minetti “dovrà aspettare” e che da quella data scatta soltanto il “diritto al vitalizio”, ovvero la possibilità di recepire, all'età di 60 anni, una somma mensile di 1300 euro. La somma, però, potrà essere corrisposta solo se verranno versati i contributi per gli altri due anni e mezzi mancanti di legislatura.
Inoltre, dal 21 ottobre in poi, i consiglieri, in caso di cessazione del mandato, potranno comunque provvedere anche da privati cittadini a versare le somme mensili dovute, e quindi a garantirsi il beneficio di recepire, all'età di 60 anni, il suddetto vitalizio.
La beffa è che dalla prossima legislatura il vitalizio per la Regione Lombardia non esisterà più, così come per altre Regioni, che hanno deciso l’eliminazione della rendita.

Perché prendere di mira la Minetti quando anche tutti gli altri hanno lo stesso diritto? Bisogna tornare un po’ indietro, a prima del caso eclatante degli “sprechi” di danaro pubblico, che ha scosso il Presidente Formigoni e la sua giunta negli ultimi giorni.
Sono mesi che c’è chi chiede, infatti, le dimissioni della Minetti dopo gli scandali sessuali che hanno coinvolto il Presidente Berlusconi e le varie “cortigiane”. Dopo l’uscita di agghiaccianti intercettazioni, infatti, mezza Italia ha gridato allo scandalo. Ma lei ha temporeggiato, i suoi l’hanno lasciata lì a lungo. L’hanno protetta. Ed ecco che il fastidio è aumentato. Una giovane donna, avvenente e spregiudicata, arrivata in politica non si sa bene per quali meriti. Già questo era stato un punto di partenza che non a tutti era proprio andato a genio. Figuriamoci tutto il resto.
Allora bisogna chiedersi se è l’Italia maschilista o sessista a volerla far fuori, o quella stanca dei soprusi e del poco talento messo in mostra, a favore delle chiappe al vento. Qui il moralismo c’entra ben poco.

La Minetti si difende dichiarando a destra e a manca che a lei nessuno ha mai chiesto di dimettersi, nemmeno Alfano. Su Twitter è il panico: “Regione #Lombardia, tra 5 giorni vitalizio per tutti, Minetti compresa. Alla faccia di tutti i lavoratori che la pensione non la vedranno”; “Ricordate... tra pochissimi giorni la Minetti sarà la prima pensionata d'Italia a soli 27 anni... senza aver mai lavorato!”; “Inizia bene la giornata, pensa positivo, mentre vai a lavoro ricordati che dovrai farlo solo fino ai 70: tra 10gg la Minetti andrà in pensione”.
Il popolo viola, famoso movimento nato per contrastare Berlusconi e il suo modo di concepire la politica,  twitta i risultati della sua petizione appena lanciata, il 12 ottobre: “In pensione a 27 anni, chiediamo le dimissioni di Nicole Minetti. 10.000 firme in poco più di 1 ora!”. Ed è vero, la petizione ha riscosso molto successo, ma sembra che forse non sia più necessaria.

Lo scorso 10 ottobre, infatti,  con un decreto legge del Governo, sono stati aboliti i vitalizi. Il decreto non ha valore per i mandati ancora in corso, ma mette comunque dei paletti: avranno diritto al vitalizio solo, oltre al Presidente, i consiglieri e gli assessori regionali che abbiano compiuto sessantasei anni di età e che abbiano ricoperto tali cariche, anche non continuativamente, per un periodo non inferiore a dieci anni.
Dunque, la Minetti non avrà vitalizio, sempre che il decreto venga convertito in legge entro 60 giorni.

Respiro di sollievo? Forse sì, forse no. O magari solo semplice “giustizia”, un minimo di parsimonia in più da parte delle Istituzioni, nel rispetto di tutti quegli italiani che sono sottoposti a continui sacrifici, tra tagli e tasse, per risanare i disastrati conti pubblici, prosciugati, probabilmente, anche da anni di sprechi, ruberie e spese folli.

Luisa Ferrara



lunedì 22 ottobre 2012

Fieramente #Choosy

Mi hanno insegnato che il lavoro è vita, e non solo perché ti dà la possibilità di mangiare e coprirti dal freddo. Ma perché è realizzazione personale, investimento di energie positive, un mezzo per sentirsi coinvolti nella società, e sentirsene parte utile.
Tutti mi hanno sempre detto che studiare è importante perché ti permette di crescere e capire il mondo, e poi trovare un lavoro. 
Sono cresciuta, e ho deciso che avrei cercato un lavoro bello, bello per me. Adesso mi dicono che sono schizzinosa, che dovrei accontentarmi. Per una vita intera mi avete chiesto di lottare e ora, mi dite di rinunciare alla mia vita? Contenta di essere #choosy 

mercoledì 10 ottobre 2012

L'antipolitica della politica.

Da Il caffè del 05 Ottobre 2012


Che la crisi economica stia martoriando una nazione già di per sé zoppicante, è ormai evidente agli occhi di tutti. Nessuna crisi si può nascondere, anche se in passato è stato fatto da presunti validi economisti. Che in Italia la sfiducia nella politica aumenti giorno per giorno, purtroppo è ormai un dato di fatto. Ma da dove nasce l’antipolitica? Perché si diffonde? Perché trova consenso tra tanti giovanissimi, molto informati, tecnologici, e sempre in Rete? Bisogna fare alcuni dovuti distingui. Ci sono, sommariamente, diverse categorie di persone: i disinteressati, che non s’informano e talvolta non votano, o votano a caso, generalmente per simpatia. Ci sono poi gli informati super partes, che pur avendo proprie simpatie personali, valutano i candidati e i partiti politici per quello che fanno, le leggi che votano, i programmi. Ci sono gli interessati schierati, che si informano, ma sono già di parte, e difficilmente sono disposti ad ammettere fallimenti o errori della propria parte politica preferita. Poi ci sono gli “schifati”, quelli che hanno creduto nella politica, o almeno ci hanno provato, ma negli anni, man mano hanno perso fiducia, si sono sentiti traditi, presi in giro dai partiti e dai vari personaggi politici. Questi ultimi generalmente hanno due tipi di reazione: il primo è il completo disinteressamento e allontanamento dalla vita politica; il secondo è più attivo, se non reattivo, e comporta il desiderio forte di cambiare le cose, di rivoluzionare un sistema corrotto.
Indubbiamente in Italia si sta vivendo una fase complessa per cui la maggior parte della popolazione non si riconosce più in questo attuale sistema, ed è molto delusa da buona parte della nostra classe politica. Si sente parlando con persone colte e informate, così come ascoltando i commenti di persone semplici ma non necessariamente meno sagge. Si può avvertire nella rabbia di molti utenti di Internet, nei commenti ai tanti articoli che girano online, alcuni offensivi, altri pieni di tristezza. Gli ultimi scandali sui grossi sprechi di alcune Regioni, hanno fatti rabbrividire tanti onesti cittadini.
Ecco che bisogna andare a fondo, e capire che l’odio nei confronti della politica è sicuramente distruttivo, ma è necessaria una denuncia senza se e senza ma. Non si può più far finta di nulla, bisogna ammettere che c’è una profonda crisi di valori e che oltre a fare pulizia, è urgente cambiare molte leggi. Quello che è accaduto finora non può continuare ad accadere. E questa non è antipolitica, ma è l’unica ancora di salvezza che la politica possiede, se vuole tornare a essere una risorsa agli occhi dei cittadini. La distanza che c’è oggi sembra tanto insormontabile quanto incomprensibile. Chi sottrae soldi pubblici dovrebbe essere allontanato definitivamente dalla politica, che non è altro che gestione della cosa pubblica. E’ assolutamente improponibile che i partiti accedano a rimborsi elettorali così onerosi e che non ci sia nessun organismo di controllo che richieda la restituzione dei soldi non spesi a fini elettorali e politici. E ancora: quanto altro dobbiamo aspettare per avere una legge anti corruzione? Perché il Parlamento non riesce ad approvarla?

Blandire gli umori distruttivi è sempre pericoloso: sindaco Renzi io lascio volentieri a #grillo #antipolitica, voglio #altrapolitica”, scrive Marco su Twtitter, ma non è il solo a “lamentarsi”.
Cari #partiti perché non abolite il finanziamento pubblico? perché non riducete il n. di parlamentari? non e' #antipolitica e' buonsenso!”, fa eco un alto tweet. E ancora: “Il "partito" dell'astensione sale al 33%... se non sono segnali questi #elezioni #antipolitica”.
Continuare a chiamare #Antipolitica ciò che è la VERA politica mi sembra controproducente, autolesionista e ipocrita. Vero #partiti ?” scrive Fabio. “Non è #antipolitica ma è #anticlassepolitica contro persone ignobili che non rappresentano il paese #tuttiacasa ma #subitoepersempre” scrive Stefano. “L'#antipolitica e' figlia della #cattivapolitica e ci vorranno 20 anni per ricostruire la fiducia degli italiani” scrive Cecilia, citando la giornalista Concita De Gregorio, intervenuta a Ballarò.
Un altro tweet è molto diretto: “Loro contestano #antipolitica, ma sono dediti a interessi personali e non al bene comune”, mentre Carmelo, parlando di Grillo, chiosa “Siamo pronti a innamorarci di nuovo dei montatori di forche scambiandoli per salvatori della patria? Pare di sì. #antipolitica #Grillo”.
Le domande sono tante, ma ora ne ho io una per voi: perché l’antipolitica che non propone alternative, di per sé è così nefasta? Perché bisogna ricordare che l’organizzazione in partiti e l’esistenza di una democrazia con alternanza di per sé è un sistema teoricamente corretto. Il fatto che all’interno dei partiti vi siano individui non degni di rappresentare i propri concittadini è una conseguenza di come è organizzato il sistema di selezione e scelta. Ma anche del poco interesse e dell’ignoranza di chi finora ha scelto. Di un sistema dell’informazione che talvolta è succube di interessi partitici, non libero, non super partes, non indipendente.
Il nostro Paese ha bisogno di ricominciare a credere in se stesso, ma deve prima decidere da che parte vuole andare. Se vuole ancora difendere e prendere esempio dai furbi, o finalmente virare verso l’onestà e la correttezza. Se vuole difendere mentalità mafiose o preferire alla sopraffazione, diritti e giustizia sociale. Se vuole premiare forze imprenditoriali innovative, invece di tenere in vita realtà sanguisuga che non danno alcun frutto. Le sfide, come le preoccupazioni, sono tante. Ma non si può smettere di crederci.
L’antipolitica deve diventare “anti mala-politica”, trasformandosi in linfa per un vero cambiamento.

Concludo con un tweet che sembrerà banale, ma che sintetizza il sentore comune: “La cosa che risulta chiara adesso, guardando lo scandalo dei fondi pubblici usati dai partiti, è che l'unica #antipolitica è la loro. Reset”.

Luisa Ferrara

giovedì 4 ottobre 2012

Youth Media Days

Da Il caffè del 28 settembre 2012.


“Si scrive Youth Media Days, si legge Festival del giornalismo di Napoli”. Questo l’inizio dello spot che si può ascoltare sul sito del Festival del giornalismo giovane, organizzato da Youth Press Italia (festival.youthpressitalia.eu/), costola italiana di European Youth Press, che raggruppa una ventina di associazioni nazionali di giovani giornalisti e partecipa a varie attività, corsi e progetti di scambio organizzati in tutta Europa, in collaborazione con le istituzioni europee. 
Dal 21 al 23 settembre al Pan - Palazzo Arti di Napoli, ci sono stati tre giorni di dibattiti e convegni con numerosi e importanti argomenti, dalla lotta al precariato, alle nuove frontiere del giornalismo, dall’utilizzo delle nuove tecnologie, all’esigenza di riconoscersi in professionalità ben definite. E tanto altro ancora, il tutto all’insegna di una grande apertura al giornalismo internazionale e ai social network che hanno il merito di interconnetterci tutti all’istante.
L’hastag Twitter utilizzato per postare e condividere opinioni, foto e dichiarazioni durante i convegni, è #YMD12. Tra pc e smartphone, noi dell’ufficio stampa social, abbiamo avuto gran lavoro, cercando di aggiornare in tempo reale coloro che ci seguivano dai loro pc, o dai loro telefoni o tablet, ovunque essi fossero.
Un festival in “presa diretta” con ospiti dal calibro di Pino Scaccia reporter storico del Tg1, Lirio Abbate dell’Espresso, i ragazzi di Radio Siani impegnati nella lotta anticamorra sul territorio, il Presidente dell’Ordine dei Giornalisti Enzo Iacopino, Amalia de Simone del Corriere della Sera, Ottavio Lucarelli dell’Ordine dei Giornalisti della Campania, Luigi De Magistris Sindaco di Napoli e Antonella Di Nocera Assessore alla Cultura. E ancora, per parlare di giornalismo precario, Ciro Pellegrino del Coordinamento dei giornalisti della Campania e Valeria Calicchio di Errori di Stampa. Presenti molte radio e giornali universitari campane, come Federico Tv, Il Levante, Radiorientale, Run Radio, Zai.net, F2 Lab e Unis@und.
Sale gremite di giovani molto decisi, talvolta arrabbiati, preoccupati per il loro futuro, desiderosi di avere qualche risposta, ma soprattutto di fare domande. Dai 14 anni in su, fino ai 30. Perché oggi si è giovani,  e quindi anche precari, fino ai 40 anni se non di più. L’accesso alla professione sta diventando sempre più un miraggio, con tutti i dubbi e le perplessità sulle costose scuole di giornalismo e sull’esistenza di ben due albi professionali. Qual è il modo migliore per avvicinarsi alla professione? Quali sono gli sbocchi occupazionali? Perché in Italia abbiamo Master in giornalismo così cari? Perché non esiste un’università pubblica che permetta di diventare giornalisti?
Ci sono giornalisti precari pagati anche 3 euro al pezzo e questo è un vero e proprio scandalo. Sono d’accordo anche il presidente dell’Ordine Enzo Iacopino, Roberto Natale, presidente della Federazione Nazionale Stampa Italiana e Paolo Butturini, segretario di Associazione Stampa Romana. Bisogna assolutamente trovare una soluzione, ci vogliono controlli, bisogna limitare il potere degli editori, bisogna fare leggi che tutelino i giornalisti.
Un primo passo può essere portare avanti la legge sull’equo-compenso, che assicuri ai giornalisti precarizzati un minimo di retribuzione. Ma non basta. C’è bisogno di una nuova consapevolezza che spinga i giornalisti e i praticanti a rifiutare di lavorare gratis o per pochi centesimi al pezzo, affinché al merito e alla preparazione siano dati valore e riconoscenza. Non si deve più cedere alla lusinga di chi dice “ti do visibilità”, perché è solo un modo per sfruttare giovani firme desiderose di affermarsi e farsi conoscere, senza le quali probabilmente molti giornali non uscirebbero proprio.
Si è parlato molto dei diritti chi ogni giorno fa il proprio dovere, ma si sente invisibile e maltrattato dallo Stato. Iacopino ci ha tenuto a precisare la sua lotta per l’approvazione della “Carta di Firenze” a tutela del lavoro giornalistico precario. La carta fa appello in primis alla Costituzione, che difende l’uguaglianza e la libertà di ogni singolo cittadino (e quindi sancisce l’impegno della Repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale), ma propone anche politiche attive e concrete contro la precarietà. Un giornalista sottopagato è sicuramente più facilmente condizionabile nella sua indipendenza e imparzialità, e per questo l’Ordine e l’FNSI si impegnano a vigilare affinché ci sia un compenso degno per tutti gli iscritti all’Ordine e i praticanti. L’invito è però anche quello a denunciare gli illeciti e i soprusi, al fine di poter permettere all’Ordine di applicare le dovute sanzioni.
Tre giorni importanti, per riflettere, informarsi, confrontarsi, sperando che qualcosa possa cambiare, e che nel magma della Grande Rete, tra chi scrive per hobby, chi usa i social network e chi li evita, chi ha un blog e chi invece di giornalismo ci campa (o meglio ci sopravvive), si faccia presto un po’ di ordine.
Luisa Ferrara