martedì 3 aprile 2012

La riforma del lavoro attraverso un Tweet.


Da Il caffè del 30 Marzo 2012 
Foto da www.lademocrazia.it 

Negli ultimi mesi il dibattito politico sembra in parte essersi spostato sui social network. Anche i nostri amati dinosauri, oltre che giovani sindaci come Luigi De Magistris, sembrano aver scoperto il potere dei Tweet, dopo quello di Facebook. Vendola era ad esempio stato precursore in questo, anche grazie all’operato locale delle “Fabbriche di Niki”, e poi Bersani e il suo PD. Berlusconi, ovviamente, tra quelli di destra, è stato uno dei più presenti online, grazie all’esercito dei fan “Menomale che Silvio c’è”. E man mano si sono aggiunti in tanti, ministri, deputati, senatori, di tutte le parti politiche. Quindi se prima occupavano televisioni e giornali, ora ce li si ritrova anche lì, croce e delizia della democraticità del web.
La “riforma del lavoro” proposta dal governo Monti è in questi giorni lungamente dibattuta, ovunque e da chiunque. I sindacati hanno annunciato gli scioperi, mentre Pd e Pdl cercano, in modo differente, di accordarsi in qualche modo con Monti sulla riforma. Monti si dice convinto che passerà in Parlamento, titolano tutti i giornali, ma i dubbi restano, soprattutto Bersani non sembra essersi totalmente convinto.
Da Twitter, lo staff di PD Network propone "un tavolo sul #lavoro. Nelle prossime settimane non servono proposte estemporanee" - dichiara, linkando la sintesi della relazione di Bersani. Vendola invece si esprime in modo estremamente contrariato sulle modifiche all’articolo 18: “Non è una riforma, ma una controriforma. Nessuna fiducia nel fatto che questo Parlamento riesca a migliorare il testo”. Ancora Bersani, dal suo profilo personale, fa una considerazione propria: “dopo la riforma del mercato del #lavoro ci si impegni a dare un po' di lavoro”.
La CGIL Nazionale dal canto suo, fa notare alcune incongruenze: “Le imprese italiane già oggi possono licenziare per verificati motivi economici. Professor #Monti non è vero che gli è impedito farlo.” E aggiunge con altri Tweet: “Non si può fingere di non sapere che l' #Art18 scatta solo se i licenziamenti si dimostrano non giustificati al vaglio di un giudice. Con la riforma #lavoro si vuole che imprese possano licenziare chiunque, anche senza motivi economici, e che nessun giudice possa impedirlo.”
Come si può notare, è pur vero che un Tweet è fatto solo da 140 caratteri, ma aggiornando spesso è facile comunicare, anche in maniera sintetica, un pensiero su questioni importanti, rimandando ad articoli in collegamento, per chi voglia eventualmente approfondire.
Manca Berlusconi su Twitter. C’è pero il profilo del GovBerlusconi, “Il governo del fare” che ha 3.204 followers ed è fermo a dicembre. Profilo aggiornatissimo invece quello di Pier Ferdinando Casini, che il 27 marzo esclama “Twitter e' uno strumento democratico e aperto a tutti, anche ai politici! Così va il mondo!”. Peccato non trovare riferimenti concreti o prese di posizione rispetto all’attuale tavolo sulla riforma del lavoro, ma solo qualche considerazione in difesa dell’operato di Monti e degli imprenditori: “Questo Governo in pochi mesi ha fatto tanto. L'emergenza non è finita, irresponsabile affossarlo. Noi sminatori per farlo andare avanti.” Oppure: “Gli #imprenditori non sono cannibali che vogliono disfarsi dei lavoratori! Un imprenditore serio vuole crescere e assumere non licenziare!”.
Ma non finisce qui, sembrano esserci davvero tutti. Anche Angelino Alfano è approdato su Twitter, e il 29 marzo esclama “oggi raggiunto un primo importante risultato. Il PDL difende il lavoro ed i lavoratori!” citando il profilo del Popolo della Libertà, dove si leggono interventi di altri twittofili, come Renato Brunetta, Maurizio Lupi, Franco Frattini eccetera eccetera.
Si danno da fare i nostri politici, hanno capito che ogni mezzo va sfruttato fino all’osso per proporre il loro pensiero, stare al centro dell’attenzione, colpire con qualche proclamo e provare a procacciare voti nel mondo “più giovane”. 

Luisa Ferrara

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