mercoledì 26 dicembre 2012

La fine del mondo in un hastag.


Da Il caffè del 21 dicembre 2012


#DomaniNonPossoMorirePerchè (scritta proprio così, con l’accento su perché sbagliato), è una delle prime tendenze tra gli hastag Twitter, insieme a #finedelmondo.
Sembra che questa storia sulla fine del mondo abbia conquistato proprio tutti, scettici, increduli, dubbiosi, ma soprattutto ironici. Ce n’è da inventar di battute e tormentoni, data la straordinarietà della notizia. In generale, online, fioccano articoli, immagini, vignette, chi più ne ha ne metta. E’ come se ci fosse bisogno, in fondo, di esorcizzare i disastri cui ogni giorno si assiste impotenti.
Il TgCom (mediaset.it) racconta le scommesse che si stanno facendo su come finirà il mondo: peste, attacco nucleare, pioggia di meteoriti, Apocalisse degli Zombie. La domanda è: chi ritirerà la vincita se il mondo sarà finito?
Su Facebook c’è chi propone un happy hour della fine del mondo, per aspettarla con un aperitivo e con un countdown tutti insieme appassionatamente, e chi si chiede come i Maya avessero fatto a prevedere la fine del mondo e non la propria.
Senza considerare che in alcuni Paesi del mondo, per via del fuso orario, la fine del mondo dovrebbe essere anticipata di parecchie ore, perché il 21 cade prima che in Italia.
Solo superstizione? Deduzioni sbagliate? Sicuramente sì, anche perché sia la Nasa che il CNRS francese hanno già abbondantemente smentito più volte la notizia di un imminente asteroide, o addirittura dell’inversione dei poli e dello spostamento dell’asse terrestre, altra teoria spesso sbandierata, ma completamente infondata.
E perché allora tanta attenzione a questo argomento? Forse perché è diventato un fenomeno mediatico, se non addirittura “virale”.
C’è chi però guarda alla “fine del mondo” come alla fine di un’era, un periodo storico, in senso metaforico: la fine comporta un nuovo inizio, una rinascita. E se fosse davvero così? L’Occidente sembra stia perdendo il suo primato di superiorità rispetto al resto del mondo, altri Paesi crescono e si arricchiscono, l’Europa sta vivendo un periodo di profonda crisi economica.
Per alcuni studiosi questo non vuol dire per forza una retrocessione dell’Occidente, ma un cambiamento di rotta. Ad esempio, si potrebbe guardare alle potenzialità offerte dalle “città intelligenti” in cui grazie alle tecnologie il risparmio energetico è ottimizzato, le infrastrutture di trasporto sono gestite in maniera intelligente, i cittadini possono interagire meglio tra loro, anche a grandi distanze, grazie ad apparati cellulari. Meno acciaio e cemento, ma polis come entità vive, pulsanti.
In attesa di sapere cosa accadrà davvero, si comincia a fare un bilancio, quel bilancio che di solito tendiamo fare a fine anno.
Si spera che per il 2013 l’Italia riacquisti fiducia in se stessa, come Nazione, come Popolo, come Paese. E’ dura ma bisogna resistere. 

Luisa Ferrara

martedì 25 dicembre 2012

Dal gusto all’impegno, i sapori della legalità.


Da Il caffè del 21 dicembre 2012.


Facciamo un pacco alla camorra” è una di quelle iniziative che ci rendono orgogliosi dei nostri conterranei, della fantasia e della voglia di non mollare mai, e di sapersi sempre mettere in gioco, con i propri mezzi e antiche speranze.

La speranza di combattere la criminalità organizzata “dal basso”, attraverso coesione sociale e cultura, e con la convinzione di dover cambiare una mentalità dominante che mette al centro l’arroganza e l’egoismo personale.

La speranza di fare qualcosa di concreto, partendo da valori e dalle qualità che già si posseggono. Per sentire l’economia non come qualcosa di distante e complesso, ma come il risultato del lavoro quotidiano, delle proprie idee e capacità.

Questa credo che sia la filosofia che sta dietro il “Nuovo commercio organizzato” e l’iniziativa “Facciamo un pacco alla camorra”. Come? Con i prodotti delle nostre terre, l’amore per i cibi sani, naturali, saporiti.

Le nostre terre, quelle confiscate alle mafie, quelle ridate alla cittadinanza, lavorate con amore da gente che crede fortemente nella rinascita. Una rete di cooperative sociali che lavora sulle terre di Don Peppe Diana, portando avanti il suo insegnamento, e vincendo ogni giorno.
Non solo, dunque, il riutilizzo produttivo dei beni confiscati alla camorra, ma anche inserimento lavorativo, per dare davvero una possibilità alle persone che lo meritano, che lavorano nella legalità e nel rispetto delle regole. Perché è solo così che si vince la criminalità, non con le parole, ma lavorando concretamente, ogni giorno “in direzione ostinata e contraria”.
Se siete curiosi di conoscere i prodotti inseriti nelle confezioni regalo dell’iniziativa, potete visitare il sito ufficiale: http://ncocommercio.myshopify.com/ e anche collegarvi alla pagina Facebook https://www.facebook.com/pages/Facciamo-un-pacco-alla-camorra/119000991540364.
Potrete scoprire così anche gli appuntamenti e gli eventi previsti, i punti vendita che vendono le confezioni regalo e gli stand temporanei per il periodo di Natale.
Un bel pacco alla camorra, invece del classico cesto di Natale, e si fa un bel gesto, per sé e per gli altri. 

 Luisa Ferrara

mercoledì 19 dicembre 2012

Tutti su Twitter, c'è Berlusconi.

Da Il caffè del 14 dicembre 2012.

Foto da daily.wired.it

Dimissioni di Monti e ridiscesa in campo di Berlusconi, si proprio così. Tutto insieme, in poche ore. Tanto che, non si capisce fino in fondo, quanto le due cose siano conseguenza l’una dell’altra.

Non ce lo aspettavamo, si può dire. Non così in fretta. I più avrebbero preferito la modifica della legge elettorale, la cosiddetta “Porcellum”, prima di andare al voto. Si vota invece a Febbraio, e mentre dal lato delle “sinistre” è chiaro grazie alle Primarie chi sarà il candidato, a destra c’è confusione, troppa incertezza.
Si era parlato di primarie del Pdl, ma Berlusconi ha tolto ogni dubbio, riproponendosi come leader, senza che nessuno dei suoi fiatasse. Nessun ostacolo, tutti in ordine e obbedienti. Che delusione.

Online l’ironia è fulminante. Berlusconi è descritto come un “dinosauro” della politica, alcuni sono increduli, altri scoraggiati, per non dire “schifati”.
Le domande sono tante, anche perché in poche ore, sembra che tutto cambi, senza alcuna logica apparente.

Su Twitter l’hastag #Berlusconi ovviamente è tra i primi 8 più importanti.
E’ che a lui piace proprio ascoltarsi. Non se ne esce. Lo spettacolo quest'uomo ce l'ha dentro”, scrive una ragazza.
E’ tutto un citare frasi “pazze” dell’ex premier, “#Berlusconi da #Belpietro:Che ci importa dello spread, è un imbroglio’”, oppure “#Berlusconi: ‘Lo #spread è un'invenzione con cui si è cercato di abbattere una maggioranza votata dagli italiani’”.

Si è parlato anche dell’alleanza- non alleanza con Lega Nord:  “#Berlusconi #Vespa: ‘O la Lega mi appoggia o saltano le giunte di Piemonte e Veneto’”.
E di tutta risposta, un utente scrive: “#Berlsuconi eh, eh, chi di Lega ferisce di Lega perisce.”

All’improvviso arriva una notizia che lascia tutti di stucco, increduli, disturbati.
Ieri #Monti era servo della cattivissima Merkel, oggi ‘Se si candida come leader moderati io mi ritiro’. #Berlusconi. #chiamatelaneuro”.

Un utente sintetizza le ultime grandi mosse politico strategiche dei nostri personaggi politici e non: “#Berlusconi non si candida se si candida #Monti, #Montezemolo invece ci sarà ma solo con Monti.  #Monti dal canto suo riflette. Pure noi”.

Infine, un botta risposta dal calibro della migliore telenovela alla Beautiful: “#Berlusconi: ‘#Renzi, per te la porta è aperta’". Lui replica: ‘Chiudila pure’”.
Ma qual è stata la vera, chiara e concisa risposta di Renzi, che fatto tanto scalpore?
Caro Silvio, le cose si possono comprare, le persone no. Non tutte, almeno. Io no. Hai le porte aperte per me? Chiudi pure, fa freddo!#ciao”.

La sensazione che il dibattito politico, si stia spostando anche online, e in particolare, sui social network, è sempre più forte. Pensate che persino il Papa Benedetto XVI è su Twitter.

Mi sa che gli scettici, debbano cominciare a ricredersi.

Luisa Ferrara

martedì 11 dicembre 2012

Disamore criminale.

Da Il caffè del 7 dicembre 2012.




25 novembre 2012. Non solo le primarie del centro sinistra, la fila per votare o i tanti seggi vuoti. Non solo Il testa a testa di Renzi e Bersani, ma anche una giornata che ha un significato particolare per tutta l’Italia e per tutte le donne.
E’ dal 1999 che, tramite una risoluzione,  l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha designato il 25 novembre come la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne,  e ha invitato i governi, le organizzazioni internazionali e le Ong, a organizzare attività volte a sensibilizzare l'opinione pubblica in quel giorno.
L’Onu non ha fatto altro che ufficializzare una data che era stata scelta da un gruppo di donne attiviste, riunitesi in Colombia nel 1981, per ricordare il brutale assassino delle tre sorelle Mirabal nel 1960, considerate esempio di donne rivoluzionarie per l'impegno con cui tentarono di contrastare il regime dittatoriale  della Repubblica Dominicana.
Man mano questa data è stata adottata da varie associazioni e organizzazioni, come anche Amnesty International. In Italia diversi centri antiviolenza hanno cominciato a celebrare questa giornata portando sotto i riflettori i tanti episodi di violenza e omicidio che ogni giorno si susseguono contro le donne.
E se l’informazione tradizionale più attenta si muove nei canali classici, online girano tanti articoli, vignette, messaggi sia nelle varie testate giornalistiche, sia nei blog che sui social network, che sono come sempre mezzo di espressione e discussione per tanti utenti, soprattutto giovani.
Su Twitter ad esempio sono andati forte gli hastag #nomore,  #25novembre e #femminicidio, e ci sono stati tanti commenti per commemorare questa importante giornata, non senza un velo di sfiducia e polemica.
Gaia ricorda: “Oggi, per favore, non parlate solo di primarie: è la giornata mondiale della violenza contro le donne”, mentre Elena ci tiene a dire che: “La giornata contro la violenza sulle donne non dovrebbe essere solo oggi ma tutti i giorni e ogni secondo dell'anno”.
E’ più diretta Valentina: “La violenza sulle donne è una vera piaga sociale. Uomini imparate il rispetto. Donne insegnatelo ai vostri figli”, sottolineando, dunque, come la violenza sulle donne sia il risultato di un problema profondamente culturale.
Stefania porta i conti: “La violenza domestica è la prima causa di morte di donne nel mondo tra i 16 ai 24 anni”, mentre Manuela si chiede: “Perché la #violenza sulle donne non è una priorità nell’agenda politica di questo Paese?”.
Tante domande, tutte legittime, tutte importanti. C’è anche chi esorta al cambiamento, che venga dall’alto: “Odio i proclami e le strumentalizzazioni politiche. Piuttosto impegnatevi per cambiare qualcosa, davvero.
E poi c’è chi, guarda caso proprio un uomo, un ragazzo di nome Guido, ci ricorda: “Le donne sono persone. E come tali, hanno il diritto di essere rispettate, valorizzate e tutelate. Un sorriso sincero, per voi.”
Meglio di un fiore, grazie.

Luisa Ferrara

mercoledì 28 novembre 2012

La striscia di Gaza e la battaglia virtuale.

Da Il caffè del 23 novembre 2011.


Sono giorni d’inferno per la striscia di Gaza, da quando il conflitto si è riacceso.
Salgono a 164, di cui 43 bambini, le vittime palestinesi nei raid israeliani su Gaza, terminati ieri sera.
5 i morti israeliani, soltanto 5 verrebbe da dire, come se fosse bello fare un confronto tra “morti”.
Oggi, 22 novembre, sembra sia arrivata la tregua, anche se non si sa quanto davvero possa durare e quanto sia stabile. In poche ore tutto può ribaltarsi, tutto cambia, tutto scoppia. Così è la guerra.
Su Twitter c’è un susseguirsi di messaggi speranzosi: “La tregua regge” oppure “Gaza, notte tranquilla, tornata la calma nella Striscia”. Ma l’ansia per il pericolo di una ripresa da parte del governo israeliano nel bombardare i palestinesi non passa.
Una delle notizie più commentate è la foto di un bambino con una pistola tra fuochi d’artificio e raffiche di spari durante i festeggiamenti palestinesi per l’interruzione dei raid.


Dure le critiche all’esercito israeliano: “L’esercito israeliano, il più moderno e sofisticato del mondo, sa chi uccide. Non uccide per errore. Uccide per orrore.”
Ma non ci sono solo commenti degli utenti da tutto il mondo, che esprimono paura e sentimenti contrastanti, oltre che ragioni opposte, ma anche tweet ufficiali da parte di ambedue le fazioni, l’esercito israeliano e Hamas. Stavolta sembra che questa guerra non sia fatta solo missili e di bombe. Il conflitto è passato sui social network da quando l'esercito israeliano ha scelto Twitter per rendere note le sue operazioni militari, e anche le brigate di Hamas utilizzano i tweet per informare su obiettivi e vittime.
Al Jazeera racconta di una guerra a colpi di “hastag” per controllare la narrazione del conflitto sui social. E quello che sembra un mondo lontano, diventa così vicino a noi che abbiamo difficoltà a comprendere come siano cambiati i tempi, e come tutto da decenni in fondo sia fermo.


Una guerra scritta in inglese, seguita dal mondo, virtuale oltre che reale. Che diventa guerra di immagini, tra foto struggenti di bambini ammazzati, di cui è difficile distinguere la “nazionalità”. Un conflitto infinito, che non sembra trovare soluzione, per il quale non si trovano le responsabilità.
O forse non si vogliono ammettere.

Luisa Ferrara


domenica 25 novembre 2012

25 novembre 2012




Io voglio parlare di un altro tipo di violenza, quella che le donne fanno alle altre donne.

La violenza psicologica di chi impone schemi in cui rientrare per essere “donna”, prescrive “buona maniere”, stili di vita, ruoli.
La violenza di chi ti dice cosa è giusto dire, fare, e come farlo. Di chi vuole che si rimanga uguali a se stesse, perché è più comodo così.

Una società in cui sono le donne a giudicare le donne, a renderle deboli e vulnerabili quando non rientrano nel concetto di “donna” che tutta la società si aspetta.

Donna madre, donna femmina, donna delicata, donna curata, donna impeccabile in tutti questi ruoli.

Si può andare aldilà dei concetti di matriarcato o patriarcato, di sessista, femminista e maschilista?

Mi piacerebbe che per un giorno si andasse oltre certi paradigmi mentali che aiutano poco a capire la realtà che evolve veloce sotto i nostri occhi.

Le donne che oggi vogliono essere diverse, minacciano la morale comune e sconvolgono modelli precostituiti, mettendo in crisi un intero sistema. 

Questo fa paura, fa paura a tutti. Non solo agli uomini.

Se l’uomo picchia e ammazza per riaffermare il suo potere, che lentamente si sta erodendo, lo fa per paura, una paura che lo porta a sopraffare l’altro. 

Bisogna andare a fondo, e capire dove nasce questa paura. Perché si ha paura di un modello di donna che forse è cambiato, e non lo si vuole accettare.

E questo devono cominciare a farlo le donne stesse, interrogandosi quotidianamente su cosa sono e cosa vogliono essere. 

Le stesse donne che finalmente devo sentirsi libere nel profondo di essere ciò che sono davvero, aldilà delle aspettative del mondo intero che hanno intorno. 

Libere secondo i propri valori e i propri credi, che devono essere frutto di scelte consapevoli e personali.

E’ difficile, forse non basta una vita, ma perché non provarci?

Io non ho paura solo delle botte, ho paura anche di tutti quei segni che restano dentro a vita, di tutto quello che questo mondo mi fa scontare ogni giorno, solo per il fatto che sono donna. 


martedì 20 novembre 2012

L'Italia dei soldati blu.

Da Il caffè del 16 novembre 2012.


Soltanto la settimana scorsa si  è parlato della Grecia e delle proteste contro le misure di austerity varate dalla troika. Ci si è chiesti quando anche in Italia arriverà il momento di protestare, uniti oltre che arrabbiati o disperati.
Sembra che il momento in parte sia arrivato, il 14 novembre è stato ribattezzato “giornata di proteste in tutta Europa”, l’Italia è stata invasa da cortei di studenti, operai, sindacati, precari della scuola e non solo.
Si sono verificati anche episodi di violenza, ma la maggioranza delle persone, come sempre, ha manifestato in maniera pacifica.
Si sono viste forse troppe manganellate da parte della Polizia, in tv ma soprattutto nei video e nelle foto amatoriali girate da parte dei manifestanti e finite immediatamente online. Botte da parte della Polizia spesso anche gratuite, come già nel nostro Paese è accaduto in passato. Scene di guerriglia urbana tra manifestanti che gettano pietre o tentano di forzare cordoni di sicurezza, e poliziotti che, protetti da tute e caschi, non sempre sono in grado di controllare la propria forza, o più semplicemente hanno ricevuto l’ordine “di agire”. Il come non è da sapere, come fu per il G8 di Genova nel 2001.
Facebook è tempestato di immagini e foto di teste spaccate e bocche sanguinanti provenienti da tutta Europa, tra cui persino quella di un ragazzino minorenne manganellato alla testa in Spagna, che ha fatto molto scalpore. Immagini da Roma, Torino, Bologna, Genova, Bari, Firenze, Napoli, Milano, Palermo e tante altre città, di piazze piene e cortei, ma anche video e foto di manganellate date a caso che fanno un po’ rabbrividire.
Colpisce molto la foto di un poliziotto che aggredisce con un manganello un giovane alle spalle mentre cammina, percuotendolo alla testa, e un’altra in cui un giovane è immobilizzato a terra da due poliziotti e un terzo lo colpisce in viso.
I feriti, però, non ci sono stati solo tra i manifestanti, ma anche tra le forze dell’ordine, tant’è che il Ministro Cancellieri ha espresso solidarietà alla Polizia, affermando: “Le foto facciamole vedere tutte”.
Ovviamente quest’esternazione ha suscitato un bel po’ di polemiche, soprattutto tra chi pensa che tutelare l’ordine e la sicurezza pubblica non corrisponda a picchiare indiscriminatamente.
Un commento lasciato da una utente sulla pagina Facebook di Agora Vox Italia, sintetizza al meglio la situazione: “Vorrei chiedere al Ministro se è legittimo mettere sullo stesso piano i comportamenti di un individuo, magari violento ribelle esagitato (ammettiamolo pure anche se non è certo), con quelli di un agente delle forze dell'ordine, della Polizia di Stato, in servizio! Ho grande rispetto per le istituzioni, da sempre, ma come cittadina esigo da esse un comportamento ineccepibile in conformità con le regole di un paese democratico.”
Se è bene far vedere tutte le foto, è anche bene che i poliziotti abbiano caschi numerati per essere identificati. Non è possibile agire in maniera così anonima, senza alcun limite nell’esercitare “controllo” attraverso armi pericolose come manganelli o lacrimogeni. Chissà cosa ne pensa il Ministro Cancellieri.
Luisa Ferrara

martedì 13 novembre 2012

Grecia: le proteste che forse in Italia non avremo mai.

Da Il caffè del 9 novembre 2012

http://it.ibtimes.com/

Giorni di fuoco per la Grecia che protesta in piazza contro le nuove stringenti misure di austerità varate dalla Troika. Bruxelles chiede leggi che sistemino i conti pubblici e il Governo prova a rispondere. Ma la popolazione vede man mano aumentare la pressione fiscale, il tasso di disoccupazione, e soffre un generale impoverimento che sta stremando soprattutto le classe più deboli.
Così la Grecia è un Paese paralizzato, per il secondo giorno consecutivo, da uno sciopero generale: quasi 100.000 persone hanno invaso il 7 novembre la piazza ateniese di Syntagma, davanti al Parlamento, per protestare contro un provvedimento che obbligherà i greci ancora a enormi sacrifici.
Probabilmente “le vittime” delle misure proposte, grazie alla quali la Grecia potrà accedere a un’altra trance di aiuti di 31,5 milioni di euro, saranno ancora salari, pensioni, sussidi e impiegati statali, che perderanno il posto di lavoro.
La Grecia volta pagina”, ha dichiarato il  premier greco Antonis Samaras l’8 novembre, dopo l’approvazione delle misure, mentre il ministro delle Finanze, preoccupato e cosciente delle difficoltà che dovrà affrontare il suo Paese, ha affermato: “Se l'Europa chiede ai greci di compiere il loro dovere, anche noi, approvando il pacchetto delle misure di austerità, ci aspettiamo che a partire da domani l'Europa faccia il suo dovere nei confronti della Grecia”.
Come ogni tema caldo, viene sentito anche sui social network. E’ tutto un ritweet di #grecia e foto, delle immagini delle piazze invase dalla gente, dai lacrimogeni, dalla guerriglia urbana, dalla disperazione. Molti si chiedono quando anche in Italia ci avviliremo a tal punto, da manifestare così numerosi.
Altri si chiedono: “Cari giornali che ci avete ammorbato per mesi sulla storia Berlusconi-Ruby spacciandocela per notizia. Come mai non fiatate sulla Grecia?” oppure: “Grecia, scontri ad Atene contro austerity. Sondaggio: giusto scendere in piazza?”.
E ancora: “#Grecia, 60enne si uccide dopo la sospensione della sua pensione d'invalidità”, o notizie peggiori come: “#Crisi #Grecia, ‘Atene non paga, niente #medicine’. E il gruppo Merck interrompe la fornitura degli anti-tumorali”.
Non è sempre chiaro come sia possibile che, per salvare lo Stato, si affondino i cittadini. Salvare i conti e distruggere il welfare, qualcosa di incredibile, ma sembra sia l’unico modo per salvare la Grecia. Un Paese che in passato ha speso troppo e forse male, e che ora paga i conti.
Concludo con un tweet che fa venire i brividi: “Non siamo nella stessa situazione, dai. Diciamo che la Grecia è un'immagine dal futuro di quello che potremmo diventare.”
Speriamo non sia così.

Luisa Ferrara

giovedì 8 novembre 2012

Marchionne VS Fiom: la storia infinita.


Da Il caffè del 2 novembre 2012.



Soltanto pochi giorni fa, l’amministratore delegato di Fiat Sergio Marchionne, John Elkann rappresentante della famiglia Agnelli e Mario Monti, si erano riuniti attorno a un tavolo per affrontare il “caso Fiat”. Il grande imprenditore, che alcuni dicono sia ammirato in tutto il mondo come sinonimo di imprenditoria moderna e innovativa, aveva da poco annunciato il fallimento del piano investimento “Fabbrica Italia” lanciato nel 2010, senza però chiarire se la Fiat avesse intenzione di restare comunque in Italia o volesse lasciare il Paese.
Dall’incontro sono venute fuori alcune novità, che confermano il sodalizio infinito e malato tra Stato e Fiat: sembra che l’azienda voglia impegnarsi a salvaguardare la presenza industriale del gruppo in Italia, e dal canto suo, il governo Monti, intende costituire un gruppo di lavoro allo scopo individuare le migliori strategie per favorire l’export nel settore automobilistico.
Sono decenni che lo Stato paga gli errori strategici e imprenditoriali del gruppo Fiat, andandole incontro con sovvenzione dirette o indirette, come ad esempio la cassa integrazione per gli operai. Negli ultimi due anni, a causa della crisi economica, la situazione si è aggravata e Marchionne ha più volte minacciato di spostare la produzione all’estero, dove i costi sono più bassi.
Il problema è che se crolla Fiat, se chiudono stabilimenti come quello di Pomigliano o Mirafiori, è la fine anche per tutte le aziende dell’indotto, che producono per Fiat. Un dramma nazionale, di grande portata, che racchiude in sé tante piccole storie, di lotte operaie, sindacati e trattative.
E’ del 31 ottobre la notizia che Fiat metterà in mobilità 19 lavoratori  nella fabbrica di Pomigliano per poter reintegrare i 19 dipendenti iscritti alla Fiom che hanno presentato ricorso per discriminazione. Forse l’epilogo, o forse un’altra battaglia, della guerra che da anni coinvolge Fiat e Fiom, sindacato considerato “ribelle” e talvolta scomodo, come fu in occasione del referendum sulle condizioni di lavoro che vide contrapporsi Fiom a tutti gli altri sindacati.
Piovono le battute su Twitter: “Di questi tempi ti assumono in fabbrica solo se hai la tessera Fiom”, a sottolineare l’assurdità della situazione. Non sembra concepibile, infatti, che per rispettare un’ordinanza di un giudice, si debba procedere ad altri licenziamenti, considerando anche che per un’azienda di questo tipo, 19 operai non possono rappresentare realmente un problema. “#Marchionne sul Corriere.it ‘non accetto lezioni di #democrazia’. Lui preferisce scatenare una guerra tra poveri”. Qualcun altro si sbilancia: “Fiom Marchionne avanzi del ventennio”.
Colpisce la durezza del Sindaco di Napoli Luigi De Magistris, molto attivo dal lato dei social media, che lapidario scrive su Twitter: “Marchionne è un miope padrone. Soltanto un miope padrone può comportarsi in questo modo, umiliando i lavoratori...”.
Dall’humor quasi un po’ nero, un altro commento: “Se dai il tuo numero a #Marchionne, devi aspettare che muoia un suo amico perché ti faccia spazio nella rubrica del telefono #marpionne”.
Per Giorgio Airaudo, segretario nazionale Fiom, “si tratta di una procedura chiaramente ritorsiva, chiaramente antisindacale e chiaramente illegittima perché i motivi addotti dalla Fiat non giustificano nessun licenziamento, anche in considerazione del fatto che l’azienda ha firmato un accordo nel quale assumeva l’impegno a riassumere tutti i lavoratori del Giambattista Vico in Fabbrica Italia a Pomigliano”.
Voglio concludere, citando un tweet di un famoso rapper italiano, Frankie HI-NRG che scrive: “Ma Marchionne, una passeggiata negli anni '70 no?”. Della serie, non scordiamo i tanto sudati diritti dei lavoratori, per cui, generazioni di persone, hanno lottato. 

Luisa Ferrara

giovedì 1 novembre 2012

I giovani, il lavoro e la Fornero.



L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro” afferma la nostra Carta Costituzionale, tanto citata, bistrattata, amata e odiata. La nostra democrazia dovrebbe dunque basarsi sulla dignità che il lavoro promette a ogni singolo uomo per l’impegno dato quotidianamente e atto a migliorare la società e a promuovere il “bene comune”. Parole, parole, parole, dice una famosa canzone. Perché mai come oggi sembra che il lavoro stia perdendo il suo valore fondamentale. Dopo anni di lotte per i diritti dei lavoratori, oggi sembra che sia il “mercato” a governare le nostre vite, e che la possibilità di scelta si sia ridotta drasticamente rispetto alle passate generazioni. Sembra che le generazioni “00” abbiano meno diritti delle precedenti, e che le leggi sul lavoro si siano svuotate della loro importanza (si pensi all’Articolo 18).
Eppure oggi il livello di istruzione medio della popolazione è aumentato. Molti giovani accedono alle università, il lavoro si è specializzato e, talvolta, intellettualizzato. La crisi economica ha lasciato dietro di sé centinaia di disoccupati, e le politiche del lavoro degli ultimi decenni hanno precarizzato un’intera generazione. Come si fa a uscire da questa situazione? Quali sono le proposte? Silenzio. Nemmeno il governo tecnico finora è stato in grado di dare risposte, la priorità è ancora il risanamento del debito pubblico, come se la crescita del nostro Paese rappresentasse un problema secondario. Viene da sé, che senza lavoro, nessuna crescita vera è possibile.
I più penalizzati sono proprio i giovani, sì, quei giovani laureati, specializzati,masterizzati, che escono dalle università italiane pieni zeppi di teoria e hanno enormi difficoltà a incanalarsi in un mercato saturo, avverso, competitivo in modo insano, non sempre basato sul reale merito. Lo stage non retribuito è talvolta l’unica modalità per cominciare a fare un po’ di pratica e non sentirsi dei “pesci fuor d’acqua”. Accettare o non accettare, questo il dilemma? A volte pur di far esperienza nel settore in cui si ha desiderio di entrare e lavorare, si accettano condizioni pessime. Tanti giovani con ottimi titoli di studio sono costretti per mantenersi o comunque per aiutare le famiglie, a fare lavoretti che si spera siano temporanei, ma che talvolta non lo sono. Lavoretti in altri ambiti, lavoretti per i quali non serve una laurea, ma basta il diploma o talvolta anche la terza media. A questo punto ci si chiede perché investire tante forze e soldi per ottenere una laurea se poi “ci si deve accontentare”.
Gli internauti più attenti saranno sicuramente a conoscenza dell’ultima esternazione del Ministro Elsa Fornero, che ha suscitato tanto clamore su Twitter e in generale online: “I giovani non devono essere troppo choosy (in inglese: esigenti, difficili, ndr) nella scelta del posto di lavoro. Lo dico sempre ai miei studenti: è meglio prendere la prima offerta di lavoro che capita e poi, da dentro, guardarsi intorno, non si può più aspettare il posto di lavoro ideale, bisogna mettersi in gioco.”
In brevissimo tempo questa dichiarazione ha suscitato il putiferio: “Non fate i #choosy : se termina la carta igienica, potete usare la laurea che giace nel cassetto”; " ‘I giovani sono #choosy’  ha detto un ministro della repubblica dopo aver ben sistemato tutta la famiglia all'università.”; “Se non hai ambizioni sei un debosciato, se le hai sei #choosy.” E ancora, continuando sulla scia rabbiosa: “Eh, pure voi: vi esce un posto per pulire i cessi alla Termini dopo un master da 10 mila euro? Accetate! Non siate choosy, no? #Fornero”.
Sarcasmo misto a irritazione e sfiducia, questo il quadro dopo aver letto svariati e articoli e dichiarazioni. Allora più che condannare la Fornero, viene da chiedersi: qual è il senso di una dichiarazione di questo tipo? Che tipo di consiglio è? A chi è diretto? Perché fa infervorare i più? Forse perché i giovani che si accontentano sono già tanti, sfiduciati da una società infetta da un nepotismo e da un clientelismo che feriscono gli onesti e i volenterosi. Forse perché la nostra è una società dove l’ambizione non è incentivata e il merito non è premiato.
Accontentarsi del primo impiego può essere una scelta intelligente se poi si ha la certezza e la sicurezza che, lavorando duro, si possa crescere e migliorare. Oltre al fatto che accontentarsi di lavoretti precari e lontani dal proprio ambito non aiuti certo a migliorare il curriculum vitae, che oggi sembra essere la cosa più importante. Il dilemma talvolta è:  guadagnare facendo qualcosa che non piace o fare quello che ci piace senza retribuzione? Forse è di questi problemi che dovrebbe occuparsi un Ministro del Lavoro, invece che dare consigli non richiesti, su basi statistiche non ben chiare.
Riformare l’università, incentivare l’apprendimento di competenze pratiche spendibili nelle professioni, aumentare i livelli di selezione, migliorare le forme contrattuali di stage e tirocinio garantendo agli studenti, ai laureandi e ai neolaureati il diritto a non essere sfruttati. Ma la cosa più importante dovrebbe essere il mettere ordine nelle miriadi di forme contrattuali che precarizzano il lavoro, lo svuotano del suo valore e non danno dignità alle competenze personali e professionali. Il talento va incentivato, così come il sapere, le giovani mente hanno bisogno di supporto e bisogna dire ai giovani che devono lavorare sodo, certo, perché prima o poi il mondo li ripagherà del loro impegno. Steve Jobs diceva: “Siate affamati, siate folli”. 
Una via di mezzo non sarebbe poi male, no? 

mercoledì 24 ottobre 2012

Vitalizio sì, vitalizio no?

Da Il caffè del 19 Ottobre 2012.

Ansa.it

Nicole Minetti è uno di quei personaggi della nostra Repubblica che esemplifica al meglio l’epilogo, lento e triste, del pomposo “Popolo delle Libertà”.
Negli ultimi giorni sono state tante le testate online che hanno denunciato l’assurda eventualità per cui il consigliere regionale Minetti potesse ricevere il vitalizio una volta arrivata a metà legislatura, ovvero il 21 ottobre 2012, data valida ovviamente anche per tutti gli altri consigliere regionali della Lombardia.

Si è creato un caso mediatico, sono volate imprecazioni ed è stata indetta anche una petizione, che in poche ore ha ottenuto milioni di firme. Tutti contro la possibilità che a soli 27 anni la signorina possa avere una pensione a vita. Molti internauti si sono mostrati scandalizzati nei commenti ai vari articoli, così come su Facebook e Twitter, e alcuni giornalisti ci hanno tenuto a precisare che la Minetti “dovrà aspettare” e che da quella data scatta soltanto il “diritto al vitalizio”, ovvero la possibilità di recepire, all'età di 60 anni, una somma mensile di 1300 euro. La somma, però, potrà essere corrisposta solo se verranno versati i contributi per gli altri due anni e mezzi mancanti di legislatura.
Inoltre, dal 21 ottobre in poi, i consiglieri, in caso di cessazione del mandato, potranno comunque provvedere anche da privati cittadini a versare le somme mensili dovute, e quindi a garantirsi il beneficio di recepire, all'età di 60 anni, il suddetto vitalizio.
La beffa è che dalla prossima legislatura il vitalizio per la Regione Lombardia non esisterà più, così come per altre Regioni, che hanno deciso l’eliminazione della rendita.

Perché prendere di mira la Minetti quando anche tutti gli altri hanno lo stesso diritto? Bisogna tornare un po’ indietro, a prima del caso eclatante degli “sprechi” di danaro pubblico, che ha scosso il Presidente Formigoni e la sua giunta negli ultimi giorni.
Sono mesi che c’è chi chiede, infatti, le dimissioni della Minetti dopo gli scandali sessuali che hanno coinvolto il Presidente Berlusconi e le varie “cortigiane”. Dopo l’uscita di agghiaccianti intercettazioni, infatti, mezza Italia ha gridato allo scandalo. Ma lei ha temporeggiato, i suoi l’hanno lasciata lì a lungo. L’hanno protetta. Ed ecco che il fastidio è aumentato. Una giovane donna, avvenente e spregiudicata, arrivata in politica non si sa bene per quali meriti. Già questo era stato un punto di partenza che non a tutti era proprio andato a genio. Figuriamoci tutto il resto.
Allora bisogna chiedersi se è l’Italia maschilista o sessista a volerla far fuori, o quella stanca dei soprusi e del poco talento messo in mostra, a favore delle chiappe al vento. Qui il moralismo c’entra ben poco.

La Minetti si difende dichiarando a destra e a manca che a lei nessuno ha mai chiesto di dimettersi, nemmeno Alfano. Su Twitter è il panico: “Regione #Lombardia, tra 5 giorni vitalizio per tutti, Minetti compresa. Alla faccia di tutti i lavoratori che la pensione non la vedranno”; “Ricordate... tra pochissimi giorni la Minetti sarà la prima pensionata d'Italia a soli 27 anni... senza aver mai lavorato!”; “Inizia bene la giornata, pensa positivo, mentre vai a lavoro ricordati che dovrai farlo solo fino ai 70: tra 10gg la Minetti andrà in pensione”.
Il popolo viola, famoso movimento nato per contrastare Berlusconi e il suo modo di concepire la politica,  twitta i risultati della sua petizione appena lanciata, il 12 ottobre: “In pensione a 27 anni, chiediamo le dimissioni di Nicole Minetti. 10.000 firme in poco più di 1 ora!”. Ed è vero, la petizione ha riscosso molto successo, ma sembra che forse non sia più necessaria.

Lo scorso 10 ottobre, infatti,  con un decreto legge del Governo, sono stati aboliti i vitalizi. Il decreto non ha valore per i mandati ancora in corso, ma mette comunque dei paletti: avranno diritto al vitalizio solo, oltre al Presidente, i consiglieri e gli assessori regionali che abbiano compiuto sessantasei anni di età e che abbiano ricoperto tali cariche, anche non continuativamente, per un periodo non inferiore a dieci anni.
Dunque, la Minetti non avrà vitalizio, sempre che il decreto venga convertito in legge entro 60 giorni.

Respiro di sollievo? Forse sì, forse no. O magari solo semplice “giustizia”, un minimo di parsimonia in più da parte delle Istituzioni, nel rispetto di tutti quegli italiani che sono sottoposti a continui sacrifici, tra tagli e tasse, per risanare i disastrati conti pubblici, prosciugati, probabilmente, anche da anni di sprechi, ruberie e spese folli.

Luisa Ferrara



lunedì 22 ottobre 2012

Fieramente #Choosy

Mi hanno insegnato che il lavoro è vita, e non solo perché ti dà la possibilità di mangiare e coprirti dal freddo. Ma perché è realizzazione personale, investimento di energie positive, un mezzo per sentirsi coinvolti nella società, e sentirsene parte utile.
Tutti mi hanno sempre detto che studiare è importante perché ti permette di crescere e capire il mondo, e poi trovare un lavoro. 
Sono cresciuta, e ho deciso che avrei cercato un lavoro bello, bello per me. Adesso mi dicono che sono schizzinosa, che dovrei accontentarmi. Per una vita intera mi avete chiesto di lottare e ora, mi dite di rinunciare alla mia vita? Contenta di essere #choosy 

mercoledì 10 ottobre 2012

L'antipolitica della politica.

Da Il caffè del 05 Ottobre 2012


Che la crisi economica stia martoriando una nazione già di per sé zoppicante, è ormai evidente agli occhi di tutti. Nessuna crisi si può nascondere, anche se in passato è stato fatto da presunti validi economisti. Che in Italia la sfiducia nella politica aumenti giorno per giorno, purtroppo è ormai un dato di fatto. Ma da dove nasce l’antipolitica? Perché si diffonde? Perché trova consenso tra tanti giovanissimi, molto informati, tecnologici, e sempre in Rete? Bisogna fare alcuni dovuti distingui. Ci sono, sommariamente, diverse categorie di persone: i disinteressati, che non s’informano e talvolta non votano, o votano a caso, generalmente per simpatia. Ci sono poi gli informati super partes, che pur avendo proprie simpatie personali, valutano i candidati e i partiti politici per quello che fanno, le leggi che votano, i programmi. Ci sono gli interessati schierati, che si informano, ma sono già di parte, e difficilmente sono disposti ad ammettere fallimenti o errori della propria parte politica preferita. Poi ci sono gli “schifati”, quelli che hanno creduto nella politica, o almeno ci hanno provato, ma negli anni, man mano hanno perso fiducia, si sono sentiti traditi, presi in giro dai partiti e dai vari personaggi politici. Questi ultimi generalmente hanno due tipi di reazione: il primo è il completo disinteressamento e allontanamento dalla vita politica; il secondo è più attivo, se non reattivo, e comporta il desiderio forte di cambiare le cose, di rivoluzionare un sistema corrotto.
Indubbiamente in Italia si sta vivendo una fase complessa per cui la maggior parte della popolazione non si riconosce più in questo attuale sistema, ed è molto delusa da buona parte della nostra classe politica. Si sente parlando con persone colte e informate, così come ascoltando i commenti di persone semplici ma non necessariamente meno sagge. Si può avvertire nella rabbia di molti utenti di Internet, nei commenti ai tanti articoli che girano online, alcuni offensivi, altri pieni di tristezza. Gli ultimi scandali sui grossi sprechi di alcune Regioni, hanno fatti rabbrividire tanti onesti cittadini.
Ecco che bisogna andare a fondo, e capire che l’odio nei confronti della politica è sicuramente distruttivo, ma è necessaria una denuncia senza se e senza ma. Non si può più far finta di nulla, bisogna ammettere che c’è una profonda crisi di valori e che oltre a fare pulizia, è urgente cambiare molte leggi. Quello che è accaduto finora non può continuare ad accadere. E questa non è antipolitica, ma è l’unica ancora di salvezza che la politica possiede, se vuole tornare a essere una risorsa agli occhi dei cittadini. La distanza che c’è oggi sembra tanto insormontabile quanto incomprensibile. Chi sottrae soldi pubblici dovrebbe essere allontanato definitivamente dalla politica, che non è altro che gestione della cosa pubblica. E’ assolutamente improponibile che i partiti accedano a rimborsi elettorali così onerosi e che non ci sia nessun organismo di controllo che richieda la restituzione dei soldi non spesi a fini elettorali e politici. E ancora: quanto altro dobbiamo aspettare per avere una legge anti corruzione? Perché il Parlamento non riesce ad approvarla?

Blandire gli umori distruttivi è sempre pericoloso: sindaco Renzi io lascio volentieri a #grillo #antipolitica, voglio #altrapolitica”, scrive Marco su Twtitter, ma non è il solo a “lamentarsi”.
Cari #partiti perché non abolite il finanziamento pubblico? perché non riducete il n. di parlamentari? non e' #antipolitica e' buonsenso!”, fa eco un alto tweet. E ancora: “Il "partito" dell'astensione sale al 33%... se non sono segnali questi #elezioni #antipolitica”.
Continuare a chiamare #Antipolitica ciò che è la VERA politica mi sembra controproducente, autolesionista e ipocrita. Vero #partiti ?” scrive Fabio. “Non è #antipolitica ma è #anticlassepolitica contro persone ignobili che non rappresentano il paese #tuttiacasa ma #subitoepersempre” scrive Stefano. “L'#antipolitica e' figlia della #cattivapolitica e ci vorranno 20 anni per ricostruire la fiducia degli italiani” scrive Cecilia, citando la giornalista Concita De Gregorio, intervenuta a Ballarò.
Un altro tweet è molto diretto: “Loro contestano #antipolitica, ma sono dediti a interessi personali e non al bene comune”, mentre Carmelo, parlando di Grillo, chiosa “Siamo pronti a innamorarci di nuovo dei montatori di forche scambiandoli per salvatori della patria? Pare di sì. #antipolitica #Grillo”.
Le domande sono tante, ma ora ne ho io una per voi: perché l’antipolitica che non propone alternative, di per sé è così nefasta? Perché bisogna ricordare che l’organizzazione in partiti e l’esistenza di una democrazia con alternanza di per sé è un sistema teoricamente corretto. Il fatto che all’interno dei partiti vi siano individui non degni di rappresentare i propri concittadini è una conseguenza di come è organizzato il sistema di selezione e scelta. Ma anche del poco interesse e dell’ignoranza di chi finora ha scelto. Di un sistema dell’informazione che talvolta è succube di interessi partitici, non libero, non super partes, non indipendente.
Il nostro Paese ha bisogno di ricominciare a credere in se stesso, ma deve prima decidere da che parte vuole andare. Se vuole ancora difendere e prendere esempio dai furbi, o finalmente virare verso l’onestà e la correttezza. Se vuole difendere mentalità mafiose o preferire alla sopraffazione, diritti e giustizia sociale. Se vuole premiare forze imprenditoriali innovative, invece di tenere in vita realtà sanguisuga che non danno alcun frutto. Le sfide, come le preoccupazioni, sono tante. Ma non si può smettere di crederci.
L’antipolitica deve diventare “anti mala-politica”, trasformandosi in linfa per un vero cambiamento.

Concludo con un tweet che sembrerà banale, ma che sintetizza il sentore comune: “La cosa che risulta chiara adesso, guardando lo scandalo dei fondi pubblici usati dai partiti, è che l'unica #antipolitica è la loro. Reset”.

Luisa Ferrara

giovedì 4 ottobre 2012

Youth Media Days

Da Il caffè del 28 settembre 2012.


“Si scrive Youth Media Days, si legge Festival del giornalismo di Napoli”. Questo l’inizio dello spot che si può ascoltare sul sito del Festival del giornalismo giovane, organizzato da Youth Press Italia (festival.youthpressitalia.eu/), costola italiana di European Youth Press, che raggruppa una ventina di associazioni nazionali di giovani giornalisti e partecipa a varie attività, corsi e progetti di scambio organizzati in tutta Europa, in collaborazione con le istituzioni europee. 
Dal 21 al 23 settembre al Pan - Palazzo Arti di Napoli, ci sono stati tre giorni di dibattiti e convegni con numerosi e importanti argomenti, dalla lotta al precariato, alle nuove frontiere del giornalismo, dall’utilizzo delle nuove tecnologie, all’esigenza di riconoscersi in professionalità ben definite. E tanto altro ancora, il tutto all’insegna di una grande apertura al giornalismo internazionale e ai social network che hanno il merito di interconnetterci tutti all’istante.
L’hastag Twitter utilizzato per postare e condividere opinioni, foto e dichiarazioni durante i convegni, è #YMD12. Tra pc e smartphone, noi dell’ufficio stampa social, abbiamo avuto gran lavoro, cercando di aggiornare in tempo reale coloro che ci seguivano dai loro pc, o dai loro telefoni o tablet, ovunque essi fossero.
Un festival in “presa diretta” con ospiti dal calibro di Pino Scaccia reporter storico del Tg1, Lirio Abbate dell’Espresso, i ragazzi di Radio Siani impegnati nella lotta anticamorra sul territorio, il Presidente dell’Ordine dei Giornalisti Enzo Iacopino, Amalia de Simone del Corriere della Sera, Ottavio Lucarelli dell’Ordine dei Giornalisti della Campania, Luigi De Magistris Sindaco di Napoli e Antonella Di Nocera Assessore alla Cultura. E ancora, per parlare di giornalismo precario, Ciro Pellegrino del Coordinamento dei giornalisti della Campania e Valeria Calicchio di Errori di Stampa. Presenti molte radio e giornali universitari campane, come Federico Tv, Il Levante, Radiorientale, Run Radio, Zai.net, F2 Lab e Unis@und.
Sale gremite di giovani molto decisi, talvolta arrabbiati, preoccupati per il loro futuro, desiderosi di avere qualche risposta, ma soprattutto di fare domande. Dai 14 anni in su, fino ai 30. Perché oggi si è giovani,  e quindi anche precari, fino ai 40 anni se non di più. L’accesso alla professione sta diventando sempre più un miraggio, con tutti i dubbi e le perplessità sulle costose scuole di giornalismo e sull’esistenza di ben due albi professionali. Qual è il modo migliore per avvicinarsi alla professione? Quali sono gli sbocchi occupazionali? Perché in Italia abbiamo Master in giornalismo così cari? Perché non esiste un’università pubblica che permetta di diventare giornalisti?
Ci sono giornalisti precari pagati anche 3 euro al pezzo e questo è un vero e proprio scandalo. Sono d’accordo anche il presidente dell’Ordine Enzo Iacopino, Roberto Natale, presidente della Federazione Nazionale Stampa Italiana e Paolo Butturini, segretario di Associazione Stampa Romana. Bisogna assolutamente trovare una soluzione, ci vogliono controlli, bisogna limitare il potere degli editori, bisogna fare leggi che tutelino i giornalisti.
Un primo passo può essere portare avanti la legge sull’equo-compenso, che assicuri ai giornalisti precarizzati un minimo di retribuzione. Ma non basta. C’è bisogno di una nuova consapevolezza che spinga i giornalisti e i praticanti a rifiutare di lavorare gratis o per pochi centesimi al pezzo, affinché al merito e alla preparazione siano dati valore e riconoscenza. Non si deve più cedere alla lusinga di chi dice “ti do visibilità”, perché è solo un modo per sfruttare giovani firme desiderose di affermarsi e farsi conoscere, senza le quali probabilmente molti giornali non uscirebbero proprio.
Si è parlato molto dei diritti chi ogni giorno fa il proprio dovere, ma si sente invisibile e maltrattato dallo Stato. Iacopino ci ha tenuto a precisare la sua lotta per l’approvazione della “Carta di Firenze” a tutela del lavoro giornalistico precario. La carta fa appello in primis alla Costituzione, che difende l’uguaglianza e la libertà di ogni singolo cittadino (e quindi sancisce l’impegno della Repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale), ma propone anche politiche attive e concrete contro la precarietà. Un giornalista sottopagato è sicuramente più facilmente condizionabile nella sua indipendenza e imparzialità, e per questo l’Ordine e l’FNSI si impegnano a vigilare affinché ci sia un compenso degno per tutti gli iscritti all’Ordine e i praticanti. L’invito è però anche quello a denunciare gli illeciti e i soprusi, al fine di poter permettere all’Ordine di applicare le dovute sanzioni.
Tre giorni importanti, per riflettere, informarsi, confrontarsi, sperando che qualcosa possa cambiare, e che nel magma della Grande Rete, tra chi scrive per hobby, chi usa i social network e chi li evita, chi ha un blog e chi invece di giornalismo ci campa (o meglio ci sopravvive), si faccia presto un po’ di ordine.
Luisa Ferrara

martedì 25 settembre 2012

Le vele senza il mare.


Per arrivare a Scampia da Piazza Garibaldi, snodo nevralgico per muoversi nel capoluogo campano, bisogna prendere prima la Linea 2 della metropolitana, poi scendere alla prima fermata, Cavour, e cambiare con la Linea 1, la metropolitana collinare, fatta di 12 fermate, di cui l’ultima, Piscinola - Secondigliano, ti porta più a Nord di Napoli, dove non si sa bene se la città inizi o finisca.

Mentre il treno rallenta e sta per fermarsi a Piscinola, noto dall’alto del mio vagone le “famose” vele, edifici giganteschi con tantissimi piani, e un cartello che mi mette i brividi “Benvenuti a Scampia. Basta crederci e trovi un mare di bene a Scampia.”

Foto di Guido Ruotolo -  multimedia.lastampa.it


Ho gli occhi lucidi. Scesa dalla metro sbaglio direzione e mi dirigo a sinistra, verso Piscinola. Mi fermo a chiedere informazioni a qualche passante (dove sono i passanti?) di fronte a un Palazzo del Comune di Napoli che stona totalmente con l’incuria delle costruzioni e la povertà circostante. Un ragazzo di colore mi nota, evidentemente appaio abbastanza disorientata, e sorridendomi mi chiede in un buon italiano di cosa ho bisogno. Gli dico che sto cercando Via Labriola e lui mi porta nel negozio di fiori lì vicino per chiedere ad “Antonio”. Antonio, il fioraio, mi spiega che Via Labriola è a Scampia, mentre quella è Piscinola, e mi dice che devo tornare in stazione, prendere un ascensore e, semplicemente, scendere.

Effettivamente le vele erano dall’altra parte, ma forse in cuor mio speravo di non doverci passare, chissà. Mi dirigo verso la stazione, chiedo conferma a una ragazza molto carina, con cuffiette e zainetto, che mi invita a evitare le scale e prendere l’ascensore “perché è meglio”. Io ringrazio e taccio. Non lo so il perché, ma faccio come mi dice. Mentre esco dall’ascensore l’immagine grigia e cupa che avevo solo intravisto si fa sempre più chiara e nitida. Chiedo informazione a un vigilante, che però non sa indicarmi e mi fa aiutare da un venditore ambulante di caramelle, anche lui molto gentile. Mi chiede dove devo andare a Via Labriola, e io con una voce sottile rispondo “la redazione di un giornale”. Non svelo il nome, più che altro perché penso non possano conoscerlo. Mi indica la fermata più vicina e mi convince a prendere un bus, perché a “a piedi è lontano”.
Alla fermata una vecchina molto dolce, mi chiede se può sedersi accanto a me, ed è chiaramente desiderosa di chiacchierare con qualcuno riguardo al caldo e alla carenza delle corse dei pullman. Farà anche caldo ma il cielo mi sembra nuvolo, spento. In giro non c’è quasi nessuno, sembra un quartiere deserto, eppure sono vicina alle stazioni metro e bus, solitamente luoghi frequentati. Dove sono gli abitanti del quartiere? Dicono che siano migliaia, più di 40 mila, ma io non vedo nessuno. Nell’arco di pochi minuti arrivano dei pullman, semivuoti, ne prendo uno dopo aver appurato che Via Labriola ha due fermate, per cui ci sono due bus diversi che portano lì.
Il giro è breve, potevo chiaramente andare a piedi. Però ora forse capisco il motivo per cui le persone che ho incontrato e a cui ho chiesto, mi abbiano detto di prendere il pullman. Se non l’avessi preso la via migliore sarebbe stata in alternativa l’attraversamento delle vele. Avranno voluto forse “farmele sparagnare”?

Non lo so, non posso rispondere. Quello che posso dire ora, dalla mia stanzetta colorata, da un piccolo paesino vicino alla borghese Caserta, che io tanto grigiore non lo avevo mai visto. Non è il classico degrado interurbano o periferico, che mi è capitato di vedere nelle periferie casertane o in altre zone di Napoli, come l’hinterland ad esempio. No, è qualcosa di più, qualcosa di così indigeribile che ti spacca dentro. Scampia è un’offesa al buon gusto, ad ogni senso estetico, a ogni idea minima di organizzazione urbanistica che sia congeniale all’essere umano. Altro che mancanza di piste ciclabili o le buche nelle strade.

Qui manca il fulcro del quartiere, manca qualcosa cui la gente possa girare intorno. Un centro, un punto di riferimento, qualcosa che rassicuri, che unisca, in cui identificarsi.
E fa male anche andarsene da qui, sapendo che forse poco potrà cambiare, nonostante questa gente ti sappia dare “un mare di bene”.

Non mi sono permessa di fare foto, lo ammetto, anche se potrà sembrare un pensiero assurdo,  perché non mi andava che la gente intorno a me si sentisse giudicata. Del resto io con una maglietta lilla e degli occhialini da sole vintage, chi cazzo mi penso di essere, cosa penso di poter “giudicare”? Niente, assolutamente niente. 

Solo la miseria umana di chi, nei posti di potere, su poltrone dorate, ha reso possibile tutto ciò, dividendo Napoli in zone alte e zone basse, zone importanti e zone nulle, o forse sarebbe meglio dire, “annullate”.

Si perché il degrado annulla, non dà possibilità di riscatto, ingrigisce, spegne.

Arrivo a Napoli, nel caos della stazione pullman, il sole è forte, come il rumore del traffico, il caos della gente nell’ora di punta. 

E adesso il mio paesino mi sembra il top, con le sue strade piene di buche, i negozi (troppi), il traffico, 4 benzinai in 200 metri, nessuna pista ciclabile, qualche rifiuto ai lati delle strade, il vigile che fa attraversare i bambini su strisce scolorite. 

Mi manca quasi.



N.B.: il mio non vuole essere un articolo di denuncia, né un’osservazione obiettiva della situazione di Scampia, anche perché non potrei permettermi assolutamente di farlo, non avendola vissuta per più di poche ore. Sono solo impressione personali, limitate e forse parziali.


lunedì 24 settembre 2012

Reddito di sopravvivenza.

Da un articolo del Fatto Quotidiano ho scoperto che negli altri Paesi Europei, nostri amici, esiste un reddito di cittadinanza, che io chiamerei di "sopravvivenza", per gli inoccupati e disoccupati (ma anche studenti, artisti... ma questo è troppo oh!). 


In Belgio è chiamato Minimax, ed è un diritto individuale che garantisce un reddito minimo a chi non dispone di risorse sufficienti per vivere.
In Lussemburgo è chiamato Revenue Minimum Guaranti ed è un riconoscimento individuale “fino al raggiungimento di una migliore condizione personale”.
In Austria c’è la Sozialhilfe, un reddito minimo garantito che viene aggiunto al sostegno per il cibo, il riscaldamento, l’elettricità e l’affitto per la casa.
In Scandinavia c’è lo Stønad til livsopphold , letteralmente reddito di esistenza, erogato a titolo individuale a chiunque senza condizione di età.
In Olanda ce ne sono due tipi. Il primo è il Beinstand, un diritto individuale e si accompagna al sostegno all’affitto, ai trasporti per gli studenti, all’accesso alla cultura.
Il secondo è il Wik, un reddito destinato agli artisti per “permettergli di avere tempo di fare arte”. (Vien voglia di trasferisi immediatamente!) 
In Germania c’ è l’ Arbeitslosengeld II 
In Gran Bretagna, c’è l’ Income Based Jobseeker’s Allowance è una rendita individuale illimitata nel tempo, rilasciata a titolo individuale a partire dai 18 anni di età a tutti coloro i cui risparmi non siano sufficienti per un dignitoso tenore di vita. Viene inoltre garantita la copertura dell’affitto (Housing benefit). In Francia vi è il Revenu de solidarité active (RSA).

Adesso, o gli altri Paesi sono tutti comunisti e noi non lo sapevamo, oppure in Italia esiste un serio problema di civiltà, inserimento sociale, mobilità tra classi, sopravvivenza, crisi del welfare.
Cosa ne pensate?
Si può togliere ai ricchissimi per dare ai poveri, o semplicemente a tutti quelli che non trovando un lavoro, poveri rischiano di diventarci?


domenica 23 settembre 2012

Il Registro della salvezza.

L'ultimo articolo che ho scritto per Il caffè, uscito il 14 Settembre 2012.

Foto da  http://altocasertano.wordpress.com

La settimana scorsa abbiamo parlato, o meglio accennato, al problema dei roghi tossici nella Terra dei Fuochi, ovvero quel territorio che si estende tra la provincia di Napoli e Caserta. Talvolta è l’ignoranza della gente che aggrava una situazione derivante dalla negligenza politica, e che porta singoli elementi a dar fuochi ai rifiuti ammassati per strada. Non si capisce, o forse non si sa o non si vuol sapere, che la spazzatura bruciata fa male, la combustione crea fumi dannosi, diossina e altre schifezze.
Poi ci sono gli incendi voluti e ordinati da un sistema malavitoso che sulla non-gestione dei rifiuti ci ha fatto un impero economico: la camorra, le eco balle, gli inceneritori, le discariche. E poi ci sono i sindaci che si sentono impossibilitati a fare qualunque cosa, perché lasciati soli, ma anche i sindaci strafottenti, e purtroppo, quelli conniventi e collusi. E poi c’è la Provincia di Napoli, e la Provincia di Caserta, e poi c’è Caldoro … e la filastrocca potrebbe non finire più, quindi mi fermo io.
Oggi voglio parlare della gente comune che si ammala quotidianamente, e di quei medici che si trovano in una situazione insostenibile, poiché il tasso di incidenza di tumori in Campania è sempre più alto e preoccupante. Una “Campania Felix” distrutta dal malgoverno e dalla crudeltà di camorristi affaristi, altro che “Terra di Lavoro”.  Non c’è lavoro, non c’è salute e sembra non esserci molta speranza.
I dati sono allarmanti: i bambini nati in Campania hanno in media due anni in meno di aspettativa di vita rispetto al resto d’Italia, sostiene il segretario nazionale della Società Italiana Medicina Generale Gaetano Piccinocchi, e ciò è dovuto all’inquinamento dell’acqua, dell’aria e de suolo. I ricercatori napoletani Antonio Giordano e Giulio Tarro hanno pubblicato a fine luglio il volume “Campania, terra di veleni”, disponibile anche in formato e-book, un libro sul disastro ambientale in Campania e sui rapporti tra l’inquinamento ambientale e lo sviluppo di malattie genetiche e di varie tipologie di cancro.

L’incidenza tumorale in Campania è aumentata negli ultimi anni del 47%, secondo i dati dell’Istituto Pascale, polo oncologico di eccellenza nazionale.  Negli ultimi 20 anni in Campania si muore più di prima, mentre nel resto d’Italia c’è un’inversione di tendenza. Il rapporto mette in connessione i picchi di mortalità per cancro con l’aggravarsi dell’emergenza rifiuti e del fenomeno dei roghi tossici che hanno avvelenato le terre tra le province del napoletano e del casertano. Sempre a fine luglio, in risposta agli studi del Pascale, il Ministro Balduzzi ha indetto una commissione per  verificare questi dati, composta da tecnici del Ministero della salute e dell’Istituto Superiore di Sanità, e dai Carabinieri del Nas. Entro fine settembre dovrebbe essere pronta una relazione sulla situazione epidemiologica nella regione Campania, in particolare nelle provincie di Napoli (città esclusa) e Caserta. Chissà quali saranno i risultati, ma soprattutto, chissà quali saranno le reazioni e le azioni che si vorranno compiere.

Antonio Marfella, oncologo dell’ospedale Pascale di Napoli, ha lottato tanto assieme ad altri medici dell’associazione Medici per l’Ambiente per vedere istituito un Registro dei Tumori Regionale, che dopo enormi pressioni da parte di migliaia di cittadini esasperati , è stato approvato questa estate in Consiglio Regionale. E’ stato però rifiutato l’emendamento che avrebbe consentito la partecipazione di Medici per l'Ambiente alla Commissione scientifica, seppure in forma di uditori e in maniera assolutamente gratuita.
Marfella aveva da tempo diffuso online e sui social network un suo importante articolo intitolato: “Quello che non ho e non ci vogliono dare: il Registro dei Tumori”, alla cui base c’è la convinzione che solo una conoscenza approfondita e verificata dei dati può dare davvero l’idea della gravità della situazione e incitare alla risoluzione per salvare la salute e la vita dei cittadini.  

Luisa Ferrara

lunedì 10 settembre 2012

Inquinamento e salute nella Terra dei Fuochi.

Eccomi tornata dopo una calda estate, tra giorni vacanzieri e pensieri su tanti progetti e "sfumature di vita".
Si torna a scrivere, non che si fosse smesso di informarsi. Ho voluto riprendere con un argomento lasciato in sospeso a fine luglio, che ho deciso di affrontare parlando con una cara amica che lo sta vivendo in prima persona. Caivano, in provincia di Napoli, è l'esempio di un territorio lasciato a se stesso e che i cittadini provano a difendere. Roghi tossici infestano la provincia di Napoli e Caserta ormai da tempo, nell'indifferenza generale. Salute e natura sono in pericolo, e bisogna dare l'allarme come si può per attirare l'attenzione su queste vicende.

Con la mia rubrica, partendo anche stavolta dal movimento che si crea online e in particolare sui social network, ho provato a raccontare "qualcosa". Ve la riporto qui come sempre, anche se vi preannuncio che nelle prossime settimane cercherò di approfondire ulteriormente l'argomento.


Alcune immagini del disastro pescate online:

lagazzettacampana.it

pupia.tv

vesuvius.it



Da  Il caffè del  7 settembre 2012

Per quanto la crisi economica preoccupi, così come la mancanza di certezze, e diciamolo, di sicurezze anche in termini strettamente “monetari”, ci sono fattori forse ancora più importanti, ma talvolta trascurati, che meriterebbero attenzione, oltre che un’ indignazione estemporanea, come spesso accade.

Abbiamo parlato in passato dei gruppi Facebook “Ciò che vedo in città” che fanno un lavoro concreto di “guardiani della città”, facendo riprese, foto, incontri, dibattiti e allertando le Istituzioni e le forze dell’ordine e denunciando ciò che non va, che sia visibile o più nascosto (discariche abusive o sospette, strade rotte, non rispetto da parte dei cittadini di divieti o passaggi per pedoni e disabili, e tanto altro ancora). Il corretto funzionamento della città come polis (ricordate la polis greca, che prevedeva l’attiva partecipazione di tutti i cittadini alla vita politica?), ma anche la prevenzione della salute dei cittadini, sono cardini importanti per gli urban whatcher.
Non è questa l’unica iniziativa degna di nota che parte e si sviluppa attraverso la Rete. Dal 2008, ad esempio, è attiva su Facebook la pagina “La Terra dei Fuochi”, che cerca di dare voce al sito web www.laterradeifuochi.it, un vero e proprio spazio di monitoraggio ambientale sugli effetti delle ecomafie e sul fenomeno dei roghi tossici di rifiuti speciali. Un lavoro complesso e difficile, che si basa sulla collaborazione di tutti i cittadini che vogliano segnalare roghi sospetti. I creatori della pagina denunciano che “tra Napoli e Caserta c'è un territorio tristemente denominato la Terra dei Fuochi. In aggiunta alle innumerevoli discariche e inquinamenti vari, qui, come se non bastasse, gli incendi dolosi di Rifiuti Speciali non conoscono sosta (…)  in questi incendi, detti oramai roghi, si brucia di tutto. A essere dati alle fiamme sono Rifiuti Speciali, materiali che non andrebbero bruciati e neanche gettati in strada. Tanto meno nelle campagne, in prossimità di allevamenti, frutteti e coltivazioni d'ogni genere.”  
Se si scorre la pagina web, come quella Facebook, il tutto appare davvero inquietante e sconcertante: sembra che l’hinterland napoletano, come quello casertano, siano completamente dimenticati e lasciati in balia di questi atti criminali e sconsiderati. Sembra che niente possa fermarli. La sola cosa che fa sperare è l’attenzione della gente, le segnalazioni che arrivano. Le denunce e la ribellione a tutto ciò.

E’ passata un’altra estate e a tanti roghi di piromani che hanno minacciato la nostra natura, si sono affiancati ancora roghi di rifiuti. I titoli dei giornali locali ripetono poche frasi: roghi tossici/rifiuti/pericolo diossina/fumo nero/fumo tossico, come un’avvilente nenia. La gente è stanca, esasperata, a Caivano ci si affida alla Chiesa e si prega la Madonna. Molti volontari si muovono insieme al parroco Padre Maurizio per sorvegliare la zona. La gente si ribella, ma non trova interlocutori, come accade spesso da queste parti. Ben quattro Vescovi si sono appellati alla politica, senza grandi risultati. Sembra che solo il Prefetto si stia interessando alla vicenda, chiedendo ai Sindaci di fare quello che possono per arginare la situazione, ovvero rimuovere i rifiuti evitando che restino per strada, senza perdersi in dispute di confine e di responsabilità. I Sindaci dal canto loro lamentano mancanza di fondi e dunque l’impossibilità di fare bonifiche ai territori disastrati. Ma dov’è la Regione Campania? Perché non se ne interessa?

La pagina Facebook “Voce per tutti” nata per raccontare Caivano senza censure, e facente riferimento al sito www.vocepertutti.it, già da Aprile dà spazio al movimento #Occupy Caivano che ha lo scopo di riflettere sullo stato di salute della cittadina, attraverso tre linee guida: ascoltare, condividere, fare.
Il Coordinamento Comitati Fuochi composto da diverse associazioni e movimenti, sta portando avanti, invece, una raccolta firme che riguarda tutti i Comuni tra Napoli e Caserta interessati dal disastro ambientale per fare una denuncia ufficiale alle Istituzioni. Il Coordinamento vuole porsi come una sorta di “giudice controllore” di questa situazione di emergenza, segnalando ciò che non va e pretendendo ascolto. Della serie, uniti si è più forti.

Grande preoccupazione ha destato in questi ultimi giorni d’agosto l’incendio delle ecoballe stoccate ad Acerra: ecoballe che nascondono copertoni d’auto triturati che dovevano esser fatte sparire in qualche modo, in qualunque modo e anche molto velocemente.

Quali sono gli interessi che si nascondono dietro l’incuria, l’abbandono, l’inerzia, l’accettazione di tale scempio? Possibile che politica e imprenditoria locale connivente non provino vergogna alcuna? Che cosa promette la camorra a chi permette ciò? Quanto denaro? Quanta vana gloria? Quali carni e frutti mangiano e quale acqua bevono i figli di questi individui? Quanta ignoranza e sete di morte pervade il cuore e la mente di questa gente? Questi sono mostri non sono persone. Assassini che meriterebbero l’ergastolo. Inaspriamo le pene per reati ambientali e perseguiamo i responsabili una volta per tutte. Allora potremmo ritenerci un popolo civile in una terra libera.

Luisa Ferrara