mercoledì 25 marzo 2020

titolotemporaneo.

Ho interrotto. Mi sono interrotta. È successo qualche anno fa, e non lo so perché.
Non c'è stato un vero motivo, forse la solita solfa di non portare a termine le cose in cui si crede perché si ha paura di non farcela. O forse la mancanza di interesse, di fiducia, di volontà.

Non mi biasimo né mi giustifico. È andata com'è andata, ma siamo ancora qui.

Vivi e a piede libero.

In in una specie di quarantena, nel 2020, dopo averne passate tante, ma adesso ne abbiamo di fronte UNA che è davvero unica.

Chi l'avrebbe mai detto, nel 2013. All'epoca ero giornalista, andavo alle manifestazioni contro la Terra dei Fuochi, avevo tanti dubbi e progetti ma non immaginavo che scrivere sarebbe stata la mia professione. Era solo una passione, che prendeva varie forme. Ho desiderato così tanto di farla diventare la mia quotidianità che sono diventata una "pubblicitaria". Una social media marketer.

Oggi sogno di fare la copy e ho finalmente ripreso a scrivere PER ME e forse anche a leggere.

In una settimana di marzo, con alle porte la primavera tanto bramata, dopo mesi di dubbi, paure, sogni, desideri. Con un bicchiere d'amaro accanto e una tastiera.

Questo ticchettio mi sembra musica, il flusso di pensieri che finalmente diventa melodia.






domenica 17 novembre 2013

Contro il biocidio, la camorra, la politica e l'imprenditoria connivente, i roghi e i rifiuti tossici. Migliaia di persone protestano sotto la pioggia.


Napoli, 16 novembre 2013.

post di 16Nov_Tutti in piazza a Napoli_Stop Biocidio.

Siamo un #fiumeinpiena, lo siamo stati e lo saremo.

  • Orta di Atella - Caivano - 4 ottobre 2013
  • Macerata Campania - 26 ottobre 2013
  • Caserta - 9 novembre 2013 
  • Napoli - 16 novembre 2013

Queste sono solo alcune delle manifestazioni degli ultimi mesi, quelle a cui ho partecipato io e che posso in prima persona raccontare.

Partendo dai paesini, dalla provincia dimenticata, si è arrivati prima alla città di Caserta e poi al capoluogo, a Napoli. Caserta mi ha davvero sorpreso: eravamo tanti, in un percorso breve, ma posso dire in vita mia di non aver mai visto tanta gente protestare nel piccolo centro della città.

E' un segnale forte. E' segno che solo ripartendo dai nostri territori si può pensare di cambiare qualcosa. Verso un obiettivo comune e tramite una progettualità variegata, unendo tante forze diverse.

Quello che vedo è un insieme di tante voci differenti unite verso uno scopo, al di là di quali siano stati gli ideali e pensieri politici, e questa cosa non mi spaventa ma mi rinfranca. Non è qualunquismo, non è rinunciare a se stessi, è consapevolezza che le diversità di vedute non siano necessariamente un problema quando la causa che ti porta a protestare è così grave e condivisa.

In questo contesto le associazioni sono fondamentali per denunciare e proporre partendo dai propri territori. La manifestazione di ieri ha visto migliaia di persone sfilare, ma non è solo questo.
Sono arrivate delle proposte, dei punti programmatici, non idee soltanto ma fatti concreti da poter attuare. Ora le Istituzioni devono ascoltare, capire, e provare a rispondere al nostro grido di aiuto.

Dire "se ne devono andare" non basta, forse non serve. Devono cambiare, devono ripulirsi, bisogna capire quali siano le falle di questo sistema e ripararle. Bisogna fare giustizia, è necessario che chi ha sbagliato paghi. E non è vendetta, è necessità di fermare chi può ancora inquinare, devastare, mortificare un territorio uccidendo le persone che ci vivono senza remore alcuna.

E noi dovremmo essere sempre lì a cercare di capire, a informarci, a commentare, a denunciare, a controllare. Questo il mio modesto auspicio.

Qui tutte le proposte di cui si è parlato ieri alla fine del corteo a Piazza Pebliscito:

PIATTAFORMA #FIUMEINPIENA 16NOV.


Luisa Ferrara



domenica 27 ottobre 2013

L'indifferenza che uccide.

Quando sono i piccoli territori a svegliarsi, per me almeno, è doppia soddisfazione.

I piccoli paesi spesso sono lontani dal clamore mediatico della grande città, vivono la loro quotidianità silenziosamente, disturbati ogni tanto da qualche evento di cronaca nera.

E' più facile vedere migliaia di persone in piazza in una città come Napoli che qualche decina tra le strade di un paese di 10.000 abitanti.

E quando vedi centinaia di persone percorrere quelle strade a testa alta, con rabbia e indignazione, cominci quasi a sentirti, per una volta, fiero della tua provenienza.

E' vero, ci sono voluti anni, non era facile forse per tutti capire la complessità di meccanismi che nemmeno grandi giornalisti hanno capito, o peggio, provato a capire.

I più informati forse sapevano già e si indignano e provavano a parlarne, a raccontare. Ma erano pochi, troppo pochi, e soli, molto soli. Siamo sempre stati soli. Questo è il problema.

Quando ora i grandi media nazionali ci domandano prima dov'eravamo, credendo di fare una domanda scomoda e magari "regalarci", come se non bastasse, un po' di senso di colpa, provo molta rabbia.

Provo molta rabbia perché c'è una parte della popolazione che ha sempre denunciato, una parte dei nostri giornalisti che ha sempre raccontato. Ma eravamo soli, erano tutti soli, snobbati, se non, isolati, che è ancora peggio.

La domanda corretta è dov'erano le Istituzioni, dov'erano i rappresentanti locali, dov'erano le forze dell'ordine addette al controllo, dov'erano i Sindaci tanto bravi a bussarti nei mesi precedenti le elezioni e poi a volatilizzarsi a ogni problema del proprio Comune dietro un "Non ci compete".

Dov'era la Provincia e dov'era la Regione.

Possono i cittadini sostituirsi ai loro rappresentanti? No, non possono. Ma possono sceglierli, possono ribellarsi a un sistema che non accettano più. Possono rifiutarsi di sopportare ancora decenni di convivenza e connivenza tra politica corrotta e camorra, tra imprenditoria insana e malaffare.

Possiamo cominciare ad alzare la voce, più siamo meglio è. Perché quando il numero aumenta, la protesta fa paura. E non importa se sia un prete a guidarla o a farne da portavoce. Quello che conta è che alla base ci sia finalmente gente comune pronta a mettersi in gioco. Persone che si informano, che nel loro piccolo fanno tutto quello che possono. Persone consapevoli, persone con il cervello acceso, persone pronte a cambiare le cose, che non hanno più paura. Ma c'è bisogno anche di competenze, di persone che si riuniscano i gruppi di lavoro, professionisti che mettano a disposizione le loro conoscenze, come medici, avvocati, geologi, biologi, agronomi e tanti altri.

Servono ancora denunce, ricerche, dati e percentuali, per essere credibili e per essere ascoltati. Se lo Stato non ci ascolta ci dobbiamo far ascoltare mostrandoci più forti, più testardi, più agguerriti. Non ci facciamo fermare, non dividiamoci. Errori ne sono stati fatti e se ne faranno, ma non è mollando o con l'indifferenza che le cose si risolveranno.

Antonio Gramsci scriveva: "L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. (...) L’indifferenza è il peso morto della storia. (...) Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?"

Domandiamocelo e continuiamo ad alzare la testa.





QUI altre foto della marcia.


Luisa Ferrara

sabato 5 ottobre 2013

Uno, tutti, migliaia.

Eravamo migliaia e non centinaia, questo sicuro.

In marcia silenziosamente, solo i cartelli a parlare. Ogni tanto qualche applauso o qualche coro: "Vergogna!".

Bambini, anziani, mamme, papà, ragazzi... c'eravamo proprio tutti. Forse mai abbastanza.

Che sia quella di oggi, assieme alle manifestazioni e alle iniziative degli ultimi giorni, il punto di partenza per una presa di coscienza collettiva.

Che l'aggregazione ritorni a essere l'elemento alla base di ogni lotta.

Che non si abbassino i riflettori, che ci sia un cambio di mentalità forte, che l'unità mostrata in questi giorni rimanga nel popolo campano a lungo, per sempre.

Non bisogna mai smettere di fare domande, di volere spiegazioni, di controllare, di proporre, di denunciare.

Tocca farlo ad ognuno di noi, ogni giorno.

L'individualismo ha perso, e noi ne siamo la dimostrazione. Dobbiamo esserne la dimostrazione.










Clicca QUI per vedere altre foto della marcia.

Luisa Ferrara


domenica 29 settembre 2013

Al punto di non ritorno.



Sono giorni tristi e di grande preoccupazione per ogni cittadino campano onesto. Non che non si sapesse in passato dell'inquinamento cui la nostra terra era stato sottoposto e obbligato, ma ora, in maniera così lampante, tutto esce fuori, i pezzi del puzzle cominciano a ricomporsi.

I pentiti parlano, magari perché stanno candendo man mano le protezioni politiche che li facevano sentire sicuri (?), e cominciano a svelare addirittura i luoghi dove sono sotterrati i fusti di rifiuti industriali illeciti. Caivano, Casal di Principe, Santa Maria Capua Vetere sono sono alcune delle località interessate, uscite fuori dalle ultime dichiarazioni.

E la paura sale, e lo sdegno si trasforma in ansia. E riprendi a contare i morti di cui hai sentito parlare, quelli della tua famiglia, pensi a chi ce l'ha fatta dopo mesi o anni di lotte e rivivi le paure che ti hanno accompagnato e ti accompagneranno tutta la vita, finché sarai qui, ma anche quando te ne sarai andata.

Perché anche se un giorno te ne andrai, queste sono comunque le tue radici, questa è la tua terra, e saperla avvelenata e uccisa fa male, come se perdessi un pezzo d'infanzia, di vita, di speranza.

E quindi non fai altro che leggere, cercare di capire, e leggere e chiedere, e indignarti, in un circolo infinito e senza punto di ritorno.

E ti chiedi perché non ci sia ancora un Registro Tumori dopo anni di lotte di medici e gente comune.

Ti chiedi come sia possibile un vuoto istituzionale così fragoroso, indecente, ridicolo, vergognoso.

Ti chiedi cosa possiamo fare davvero, tutti noi comuni mortali, nel nostro piccolo, per cambiare le cose, per chiedere aiuto, per il rispetto della vita umana, della salute, dell'ambiente in cui viviamo.

Ci hanno persino fatto sentire in colpa, dicendoci che i tumori ci vengono perché fumiamo, beviamo alcool e mangiamo cose grasse che ci fanno diventare obesi. Sì, hanno fatto persino questo.

Non è così, e lo sanno bene. E sanno anche di più, sanno tante, troppe cose.

Ma nessuno ha pagato ancora finora e chissà se pagherà. Chi? I politici coinvolti, collusi, conniventi. Gli "imprenditori" che hanno fatto accordi con i clan, e non solo quelli del Nord. I contadini che hanno concesso i loro terreni in cambio di soldi per nascondere i veleni. E tutti gli altri, tutti quelli che hanno mangiato al banchetto del far soldi, del far finta di nulla, dell'indifferenza, della bella faccia a cattivo gioco.

E sono tanti. E avessero almeno la decenza di tacere. E invece no.


Di seguito solo alcuni degli articoli che ripercorrono le vicende.

http://paralleloquarantuno.it/?p=7320

http://www.lettera43.it/cronaca/campania-lo-scandalo-del-registro-tumori-inesistente_43675107264.htm

http://www.fanpage.it/47-comuni-tossici-casertano-ministero/#ixzz2gDomhmUz

http://www.fanpage.it/rifiuti-in-campania-e-terra-dei-fuochi-il-piu-grande-avvelenamento-di-massa-in-un-paese-occidentale/

http://interno18.it/attualita/36823/terra-dei-fuochi-venga-presidente-venga-visitare-quell-italia-che-non-conosce

http://www.ildesk.it/newslong.php?id=1988

http://www.ilmattino.it/CASERTA/rifiuti-tossici-casal-di-principe-pentito-segnala/notizie/327151.shtml

http://www.youtube.com/user/beacon986/search?query=Current+TV+Gomorra


Luisa Ferrara


martedì 9 luglio 2013

Cubeddu, le femministe e la violenza sulle donne.

esemplare umano di sesso femminile
con addosso stoffa per coprire le parti intime 


Non è facile oggi fare battaglie femministe in difesa delle donne senza rischiare, talvolta, di rasentare un estremismo illogico e di parte. Preferisco quindi parlare di battaglie per le donne, per tenere lontano da me ciò che considero estremo e dannoso ai fini di un obiettivo. Nella lotta di genere ci sono cose che condivido e cose che sento distanti, e non è la prima volta rispetto a una teoria o a un'ideologia, che provo questa sensazione.

Avere degli assunti certi può aiutare a semplificare la realtà e a trarre facilmente conclusioni, ma non aiuta la riflessione, il confronto e la comprensione delle problematiche che attanagliano società complesse come le nostre. Questo è il motivo per cui, in generale, non prendo parte a collettivi, partiti politici, associazioni politico-culturali et similia, ma sembra sempre che osservi da fuori, cercando di farmi un'idea sulle cose che sia mia. Non riesco, ahimè, a star stretta in un "pensiero unico" pure quando questo si definisce alternativo e agli antipodi del mainstream, ovvero divergente rispetto al cosiddetto pensiero dominante.

Tornando al discorso "femminista" sono consapevole di come questo movimento abbia portato avanti battaglie fondamentali e vitali per le donne e come continui a farlo, oggi più di prima, attraverso una rete internazionale e all'utilizzo di nuovi media come i social network. Le battaglie tramite hashtag e tag attirano sempre più spesso l'attenzione anche di altri media e in breve tempo alcune tematiche diventano notizie di primo piano. Come il caso della giovane Amina, o del gruppo Femen. Ancora più lampante è il caso della diffusione del termine femminicidio per indicare l'omicidio di genere e ultimamente la protesta contro un articolo discutibile di Marco Cubeddu pubblicato dal Secolo XIX. Ho detto già la mia sul femminicidio in un articolo pubblicato su Agoravox, e ho aspettato l'evoluzione del caso per parlare del "provocatorio" articolo di Cubeddu, cui sono seguite reazioni di vario genere, per farmi un'idea sulla questione che non fosse dettata dall'impulsività.

Sono arrivata alla conclusione che Cubeddu sia stato semplicemente molto superficiale semplificando all'osso un problema storico e problematico come quello della violenza sessuale sulle donne e in particolare sulle giovani donne. Lui fa riferimento al vestiario succinto di ragazzine di 11-12 anni in piena estate, sollevando ovviamente una grossa polemica. Si parla di ragazzine delle scuole medie che giocano a gavettoni in strada, noncuranti molto probabilmente, di poter attirare sguardi indiscreti, e talvolta pericolosi, solo perché indossano comodi e corti pantaloncini (visto il caldo!). La domanda è proprio questa: tutte le ragazzine di 11-12 sono consapevoli, e fino a che punto, della  propria sessualità? Il loro intento è davvero provocatorio? Le mamme e i papà sono responsabili del loro vestiario che potrebbe apparire "non consono"? E fino a che punto è possibile limitare una ragazzina mettendola in guardia rispetto al pericolo di attirare malintenzionati scoprendosi per il caldo? Domande, domande, domande. Quelle che dovrebbe porsi Cubeddu, e come lui, tanti altri professionisti dell'informazione, dell'educazione, della psicologia.

Ho cercato di farmi altre domande, per provare ad andare, almeno un po', alla radice del problema. Come crescono le ragazzine di oggi? Quali sono gli esempi che seguono? Quanto in fretta crescono e in che modalità si approcciano al proprio corpo e alla propria sessualità? Che ruolo hanno le famiglie e la scuola, i media e la comunità? Che rapporto hanno con l'altro sesso?

Sono donna, ho quasi 28 anni e sono stata una ragazzina anche io. Il problema più grande che vedo, onestamente, non sono gli shorts (che anche io indossavo in piena estate girando in bici nel mio quartiere o giocando con la palla nella stradina sotto casa, come tutte le ragazzine della mia età). Il problema credo sia che molte delle ragazzine di oggi tendano a vestirsi da ragazze più grandi senza averne la maturità mentale. E' inquietante vedere ragazze di 14-15 anni vestite in modo più provocante e sexy di donne di 26-27 anni. E' preoccupante vedere loro bruciare le tappe, perdendo pezzi d'infanzia e di pre-adolescenza fondamentali per la crescita. Questo è un problema culturale, di educazione, che deve portarci a fare domande più ampie, sui valori e gli esempi che i giovani d'oggi hanno e percepiscono soprattutto attraverso i media che tanto li influenzano e li formano. E sul ruolo della famiglia, sempre più complesso e difficile, in bilico tra permissività e modello autoritario.

Ma mai, mai si deve pensare, che siano gli atteggiamenti femminili a provocare la violenza, che è sempre ingiustificata. Lo stupro è sempre esistito, in ogni epoca storica, religione e società, a prescindere dai costumi e dagli usi delle donne. I casi di cronaca, così come studi e sondaggi, non hanno mai evidenziato collegamenti tra lo stile di vita delle donne o i loro modo di abbigliarsi e le violenze subite. Chi stupra lo fa per ragioni che vanno al di là del puro istinto sessuale animale incontrollabile, ma perché malato, disturbato.
Ciò non toglie che le donne, con intelligenza e amor proprio, debbano sapersi difendere a monte, senza però vivere con la paura o limitando la propria libertà. Ma chi difende le donne? In realtà nessuno, non siamo davvero mai libere, e non lo saremo fino a quando le nostre città non saranno sicure, le strade abbastanza illuminate e le stazioni delle metro abbastanza vigilate, anche di notte.

E' troppo facile giudicare le donne e il loro stile di vita con un tristissimo "se lo è andata a cercare", è molto più difficile, anche per quelle società che si dicono evolute e progressiste, far sì davvero che le donne vivano in un mondo che non le faccia sentire in pericolo o in difetto. Queste sono le battaglie che vorrei che le mie amiche femministe o pseudo tali abbracciassero, oltre a fossilizzarsi sui problemi di "genere" e di "ruolo", pur altrettanto importanti e fondamentali.

Gli shorts non stuprano, e nemmeno le minigonne, e nemmeno la nostra sensualità dirompente, nemmeno la nostra femminilità. Nemmeno la nostra socievolezza e voglia di libertà, nemmeno sentirsi spiriti liberi e voler vivere una vita diversa da quello che il resto del mondo si aspetta. Stuprano l'indifferenza, la noncuranza, l'arretratezza mentale e sociale. Fatevene una ragione.

Trovi questo articolo anche su Agoravox Italia.

Luisa Ferrara



mercoledì 26 giugno 2013

Contenuti e social network.


















Nell'ultimo anno, oltre a essere diventata giornalista pubblicista (attualmente non praticante), mi sono occupata di contenuti per il web e di social media. La rubrica che ho tenuto fino ai primi mesi del 2013 per il Il caffè settimanale cartaceo casertano, mi è servita molto ad approfondire il mondo di Twitter, dove la sintesi è un dono e gli hashtag un mondo aperto verso l'infinito, a dispetto dei 140 caratteri.

Per il lavoro che faccio come social media editor free lance per agenzie di comunicazione, ho imparato a conoscere lo strumento Facebook nel suo lato più commerciale, da un verso, e democratico dall'altro. Produrre contenuti adeguati a specifici target per diversi clienti mette in moto un meccanismo molto dinamico di ricerca di stile, di conoscenza del web e delle tendenze che lo animano, anche in ambito visivo e non solo testuale. Chi fa testi per il social e per il web, infatti, non può prescindere dal visual, che ne è elemento fondamentale.

Dettagli a parte, un altro passo importante è stato scoprire il cosiddetto Social CRM, ovvero customer relationship management, più semplicemente gestione del servizio clienti tramite i social. Questo è forse il momento di maggiore vicinanza, di qui l'utilizzo sopra del termine "democratico", tra l'azienda e i suoi clienti. Il contato diretto apre ovviamente a ogni tipologia possibile di confronto e/o scontro, lamentele, critiche, complimenti, domande di ogni tipo, talvolta anche pretese improbabili.

Ci sono pagine con milioni di fan che gestiscono i propri clienti anche tramite Facebook, ma c'è ancora qualcuno che dice che il social non è il futuro del marketing. Qualche mese fa mi è capitato di chiacchierare con una signorina esperta di marketing molto decisa e determinata, la quale sosteneva, senza alcuna ombra di dubbio, che i social media godono un successo temporaneo, ma non sono il futuro. Chissà.

Forse non lo saranno, ma eviterei di fare pronostici rischiosi, soprattutto se si è ancora legati a un vecchio modo di fare comunicazione e si ha paura di perdere determinati "privilegi" o conoscenze sedimentate e non si è disposti ad aggiornarsi, continuamente, come è fondamentale fare tuttora per chi vuole lavorare nel mondo del web.

Al di là di come la si pensi personalmente, i social media sono chiaramente un realtà da tener presente, nel mondo dell'informazione come in quello pubblicitario, probabilmente in modo molto diverso, ma neanche troppo. Perché? Perché sono convinta che una buona comunicazione parta in ogni caso da una base comune: la trasparenza. L'utente odierno è attento, è ricettivo, è critico, non è più lo spettatore passivo della televisione. Cambiano gli strumenti, cambia il modo di usufruire di contenuti, e cambiano anche le persone e il loro modo di rapportarsi ai contenuti e ai mezzi.

Di questo bisogna tenere conto quando si danno notizie stupide o inutili, quando si trasforma un caso di femminicidio in gossip, quando si tenta di barare con i propri clienti sperando di farla franca.
Può sembra un accostamento azzardato, mi rendo conto, ma per chi approccia questi strumenti penso sia buona regola avere un codice deontologico come punto di partenza e proprio mantra quotidiano.

Li chiamo strumenti, perché credo che effettivamente i social network siano degli strumenti per ottenere uno scopo e non il nostro fine. Strumenti, contenitori, mezzi con cui fare contenuto, fare informazione, comunicare, condividere. Siamo sempre e solo noi a decidere in che modo utilizzarli e cosa farli diventare per noi, per i nostri lettori, per i nostri clienti. Questo è un grande vantaggio, una grande libertà, ma anche un grande pericolo. Ecco che, come in tutti i mestieri, l'improvvisazione è da temere, bisogna sempre diffidare degli esperti improvvisati. Di ogni mezzo vanno studiate le modalità, le opportunità e i limiti, in un processo che non ha mai fine, perché in particolare per i social network, stiamo parlando di strumenti in continua evoluzione che necessitano approfondimento, analisi, studio delle tendenze.

Luisa Ferrara